Gli ‘ultimi fuochi’ del ‘lombardismo’ ormai alla frutta

L’intervista rilasciata ieri dall’ex presidente della Regione siciliana, Raffaele Lombardo, al Corriere della Sera ci fornisce l’occasione per commentare le parole in libertà di questo personaggio ormai in uscita e per analizzare il voto di questa formazione politica.

Diciamo subito che, rispetto a quattro anni fa, il Partito di Lombardo – che ora si chiama Partito dei Siciliani-Mpa – ha raccolto il 50 per cento e forse più di voti in meno. Quattro anni fa – lo ricordiamo – Lombardo, oltre alla lista dell’Mpa, presentò altre due liste che, insieme, presero il 9 per cento circa dei voti. Tutt’e due le liste non arrivarono al 5 per cento. Un errore marchiano, quello commesso quattro anni fa da Lombardo, che gli costò da sette a otto deputati, tutti regalati al Pd.

Ma quei voti, allora, c’erano: ed erano voti dell’Mpa. Allora c’era la spinta della sua candidatura alla presidenza della Regione. E, soprattutto, tra i siciliani, era presente l’idea che quella di Lombardo fosse, per davvero, un’esperienza politica autonomista.

I quattro anni di governo regionale hanno raccontato un’altra verità: e cioè che Lombardo ha utilizzato il vessillo dell’Autonomia siciliana per farsi i fatti propri (la dizione, in verità, dovrebbe essere un’altra: la parola “fatti” andrebbe sostituita con …).

Di Autonomia, a parte la retorica, se n’è vista poca. E lo dimostra il fatto che l’esperienza di Lombardo non ha unificato le tante ‘anime’ dell’autonomismo siciliano, che rimangono sparse qua e là.

Lombardo, dopo quattro lunghi anni di Governo, ha ottenuto 180 mila voti, poco più del 9 per cento. In pratica, nulla. La sua, al di là della spocchia manifestata ieri nell’intervista al Corriere della Sera, è oggi una forza politica insignificante. Ed è tale perché negli equilibri assembleari i Partiti che compongono il nuovo Governo non hanno alcun interesse a mantenere in piedi il sistema di potere di Lombardo.

Perché, al di là delle chiacchiere, i circa 180 mila voti presi dal Partito dei Siciliani di Lombardo sono soltanto voti di clientela. Delle grandi idee autonomiste di quattro anni fa – di certo anche allora confuse ed incerte – non è rimasto proprio nulla, nemmeno l’incertezza e la confusione.

A differenza del sistema di potere di Totò Cuffaro – che, piaccia o no – era fondato sulla forte personalità dell’ex presidente della Regione, e sulle grandi capacità personali dello stesso Cuffaro di legare a sé tanta gente, quello di Lombardo è un sistema di potere caratterizzato a un semplice do ut des: uno mero scambio all’insegna del cinismo. Detto in altre parole, se per ‘decuffarizzare’ la Regione siciliana non sono bastati quattro anni, per ‘delombardizzare’ la Sicilia basteranno tre mesi.

Questo perché nel sistema di potere di Lombardo non c’è empatia, ma solo cinismo allo stato puro. I primi a disfarsi di lui – anche per certi suoi rapporti ‘pesanti’ – saranno i dirigenti del Pd, che adesso dovranno provare a fare dimenticare i quattro anni di ‘lombardismo’.

Contrariamente a quello che ha detto ieri nell’intervista l’ex presidente della Regione, il suo Partito, nella nuova Assemblea regionale siciliana, non determinerà alcunché. Per almeno due buoni motivi.

In primo luogo perché, grazie all’attuale legge, a dettare l’agenda politica è il presidente della Regione e non l’Ars. Questo Lombardo dovrebbe saperlo, visto che proprio lui ha utilizzato in modo perverso l’eccesso di potere che una legge sbagliata (il riferimento è alla legge che ha introdotto in Sicilia l’elezione diretta del presidente della Regione) conferisce al capo della giunta regionale.

Forse l’ex presidente della Regione non si è ancora accorto – e arriviamo al secondo motivo per il quale Lombardo, nel nuovo Parlamento dell’Isola, conterà quanto il due di coppe con la briscola a bastoni – di avere perso le elezioni. Il suo Partito non ha sostenuto Rosario Crocetta, ma Gianfranco Miccichè che, per l’appunto, ha perso in modo inequivocabile le elezioni.

Noi non sappiamo se, su Crocetta, sotto banco, oltre che i voti di Udc e Pd, sia arrivato il sostegno occulto di ‘pezzi’ del Partito dei Siciliani e di Grande Sud di Miccichè. Questo, oggi, non conta più nulla. Perché l’attuale legge che, nella Regione siciliana, regola i rapporti tra esecutivo e legislativo non dà a quest’ultimo alcun potere per condizionare il Governo.

Gli unici due strumenti a disposizione del Parlamento dell’Isola sono il bilancio e la mozione di sfiducia. Il primo è fuori uso, perché con 6 miliardi di euro e ‘rotti’ di deficit i nuovi parlamentari dell’Ars avranno poco di che studiare. Il secondo, almeno in questa fase, non esiste. Perché, com’è noto, se i 90 parlamentari decidono di a mandare a casa il Governo, vanno a casa anche loro: e nessuno dei 90, ad inizio di legislatura, ha voglia di tornare a casa.

Quindi, caro ex presidente Lombardo – e caro onorevole Miccichè – come si direbbe a Napoli, chi ha avuto ha avuto e chi ha dato ha dato. Ormai le urne sono chiuse e c’è un nuovo presidente della Regione che determinerà equilibri assembleari, leggi da approvare, agenda politica e, naturalmente, agenda di governo. Fine.

Ci permettiamo, invece, di dare qualche consiglio all’ex presidente della Regione, sempre a proposito di ciò che è “determinante” e di ciò che non lo è. Secondo noi, di “determinante”, nella futura vita dell’ex presidente della Regione non c’è lo sparuto gruppo di parlamentari che il suo Partito ha portato all’Ars – che, come già accennato, determinerà poco o nulla – ma il processo dove l’ex presidente è imputato.

A nostro avviso, le accuse formulate dall’ex assessore, Marco Venturi, al momento delle sue dimissioni dalla giunta sono gravissime. Accuse dirette, lo ricordiamo, proprio contro Lombardo. E diventano ancora più gravi alla luce degli atti prodotti dai dirigenti nominati da Lombardo nel settore dell’amministrazione dove operava Venturi.

Ci sono stati dirigenti, nominati direttamente da Lombardo, in alcuni casi contro il parere dell’ex assessore, che non si sono dimostrati particolarmente attenti nella gestione di vicende nelle quali affiora l’ombra della mafia. Il riferimento è ad alcuni dirigenti che hanno omesso di costituirsi davanti al Tar e al Cga in alcuni delicati procedimenti amministrativi avviati sotto la gestione Venturi. Vicende che riguardano proprio fatti di mafia.

Sono fatti che il nostro giornale ha raccontato ampiamente nelle scorse settimane. Storie che non depongono a favore del Governo Lombardo e dei dirigenti voluti dallo stesso ex presidente della Regione. Tutti elementi, sia chiaro, che debbono ancora passare dal vaglio del dibattimento.

Detto questo, nei processi di mafia – processi indiziari per antonomasia – quando i fatti ed, eventualmente, le prove sono controverse diventa centrale il libero convincimento dei giudici, come insegna la vicenda giudiziaria dell’ex presidente della Regione, Cuffaro. In questi casi la ricostruzione dell’elemento soggettivo viene ricavata da situazioni fattuali.

Forse, oltre che riflettere sulla politica, Lombardo farebbe bene a riflettere anche su questi fatti.

 

 

Redazione

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