Erano oltre cinquanta gli imprenditori e i commercianti finiti sul libro mastro del clan di Brancaccio. Una famiglia, quella alle dipendenze del mandamento mafioso di Ciaculli, molto attiva sul fronte delle estorsioni, con via Messina Marine passata letteralmente al setaccio con una sorta di raccolta porta per porta da alcuni degli uomini finiti in manette nell’operazione Stirpe. Attività diverse, aziende diverse, tutte però con un denominatore comune: nessuno ha denunciato. Anzi, in alcuni casi sono state proprio le vittime a chiedere agli emissari di Cosa nostra di non comparire sul libro mastro, proprio per non avere scocciature con le forze dell’ordine nel caso le cose si mettessero male. Copione a tratti simile è quello emerso dall’operazione che ha colpito subito dopo il mandamento di Tommaso Natale, dove però qualcuno ha trovato la forza di sporgere denuncia. Un quadro che potrebbe fare preoccupare a qualche mese dal buon esempio offerto dai commercianti e dagli imprenditori di Borgo Vecchio, che con la forza delle loro denunce hanno contribuito alla disarticolazione del clan che teneva in mano il quartiere. A smontare questa tesi, tuttavia, ci pensa AddioPizzo, associazione storica che da anni lavora sul territorio al fianco delle vittime del racket delle estorsioni.
«Attenzione a fare di un caso concreto, anche se limitato territorialmente, una valutazione generica su quello che è lo stato della lotta al racket sull’intera città di Palermo» spiega a MeridioNews Salvo Caradonna, socio fondatore e responsabile legale di AddioPizzo, secondo cui la chiave di lettura di fronte a un caso del genere deve necessariamente essere un’altra. «La nostra valutazione – dice – non cambia in funzione di operazioni diverse che coinvolgono mandamenti diversi, famiglie mafiose diverse e che di volta in volta registrano differenze nella percezione e nella reazione degli imprenditori. Le vittime non hanno cominciato a reagire perché a Borgo Vecchio 15 imprenditori edili hanno denunciato, così come non c’è un’inversione di tendenza se a Brancaccio nessuno denuncia».
Le statistiche in pratica non possono prescindere da una valutazione territoriale e del tessuto sociale in cui il fenomeno viene registrato. «Brancaccio è stato sempre uguale a se stesso. Questa è l’ultima di una serie di operazioni di polizia, come Maredolce, Maredolce 2, in cui abbiamo registrato comunque lo stesso atteggiamento da parte delle vittime, ma non si può da un caso particolare fare una valutazione di ordine generale e generico, che non dice nulla di posti come Borgo Vecchio, Uditore-Passo di Rigano, Resuttana-San Lorenzo o Porta Nuova. Si tratta di un fenomeno presente, ma rispetto al quale registriamo fenomeni di resistenza, di denuncia, di collaborazione, compatibilmente con il contesto criminoso in cui emergono, perché un conto è denunciare in via Sciuti o nel centro della città e un’altra cosa è fare una determinata scelta a Brancaccio. Ogni territorio ha una sua storia, una sua dimensione economica, una sua conformazione commerciale e in base a quello cambia anche la risposta dell’imprenditore».
Per quanto riguarda invece il fenomeno in sé, i dati sono comunque incoraggianti. «Il fenomeno è fortemente ridimensionato – prosegue Caradonna – per la crisi economica, per una certa resistenza, c’è persino stato un imprenditore che ha denunciato a Torretta, in un paese dove si sono accertati legami con Cosa nostra americana, dove è stata provata una vecchia concezione del potere simile a quella riscontrata a Brancaccio». Un fenomeno che si può arginare, in qualche modo, ma non senza passare per un’evoluzione culturale, come dimostra proprio la differenza di reazione di quartiere in quartiere, di mandamento in mandamento. «Come AddioPizzo cerchiamo di coinvolgere anche la società civile in quella che è la nostra valutazione: in certi contesti bisognerebbe parlare di come siano inesistenti i diritti fondamentali come salute, casa, lavoro, istruzione. Il lato estorsivo risente di una serie di mancanze che in determinati contesti ci sono e rispetto alle quali da diversi anni stiamo lavorando, come alla Kalsa – conclude Caradonna – L’emergenza in questo momento è cercare di capire come da ora in poi si devono affrontare altri problemi la cui soluzione determina una risposta sul lungo termine del contrasto al racket».
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