Gli ufficiali giudiziari avranno accesso ai conti correnti privati dei cittadini

LO PREVEDE IL NUOVO DECRETO LEGGE SULLA GIUSTIZIA VARATO DAL SOLITO GOVERNO RENZI. DOPO IL REGALO DELL’ANATOCISMO (IL CALCOLO DEGLI INTERESSI SUGLI INTERESSI), NUOVE AGEVOLAZIONI PER LE BANCHE (E PER GLI UFFICIALI GIUDIZIARI) SULLA PELLE DEGLI ITALIANI. VIOLATA LA LEGGE SULLA PRIVACY

Qualche anno fa, il nostro giornale ha pubblicato un articolo (http://www.linksicilia.it/2012/10/come-il-governo-monti-mettera-il-naso-nei-nostri-conti-correnti/) con il quale veniva lanciato l’ ‘allarme’ per le conseguenze che una decisione presa dal Governo Monti, quello che avrebbe dovuto salvare l’Italia, avrebbe potuto avere sulla vita dei cittadini.

La manovra introdotta dal “Professore” consentiva all’Anagrafe Tributaria di avere accesso a tutti i dati bancari di cittadini e imprese che dovevano essere trasmessi periodicamente da banche e da istituti di credito. La misura in palese violazione delle norme sulla privacy (tanto che il Garante per la Privacy espresse seri dubbi sulla legalità di una simile manovra) fu poi convertita in legge. Ma i risultati furono scarsi e le entrate per lo Stato non aumentarono.

L’evasione, anche grazie alle manovre introdotte prima dal Governo Monti e poi dai suoi successori, Letta e Renzi, non è diminuita, anzi è aumentata e gli strumenti adottati sono serviti solo a “violentare” la riservatezza dei cittadini onesti.

Poi è arrivato Renzi, anche lui come Monti non eletto dai cittadini, anche lui come molti dei suoi predecessori pieno di promesse mai mantenute e anche lui, come tutti gli ultimi presidenti del Consiglio, incaricato dal presidente della Repubblica di “salvare l’Italia”.

Ma anche lui, dopo pochi mesi, è stato costretto a rendersi conto che le manovre introdotte non sono riuscite a ridurre l’evasione e ad aumentare le entrate dello Stato. E allora quale manovra ha pensato di introdurre il “nuovo che avanza”? Con un nuovo decreto legge (ormai sono anni che in Italia si va avanti non con leggi approvate dal Parlamento, per quanto eletto con un sistema incostituzionale, ma con decreti legge imposti dai governi a colpi di voti di fiducia), il Governo Renzi ha pensato bene di peggiorare il sistema ormai palesemente inefficiente e inefficace dei suoi predecessori: in base al nuovo decreto Giustizia, a breve, gli ufficiali giudiziari potranno avere accesso ai conti correnti di privati cittadini ed imprese per riscuotere i crediti.

In altre parole, i creditori potranno chiedere al giudice l’autorizzazione per individuare i beni del debitore che saranno pignorati direttamente dall’ufficiale giudiziario dietro percentuale. In questo modo le banche risparmieranno e non poco e gli ufficiali giudiziari potranno incassare più facilmente la percentuale che le legge prevede per il loro operato.

In compenso, l’Anagrafe dei correntisti non sarà più tutelata da nessun tipo di riservatezza, ma diventerà un libro aperto per i Tribunali anche per le procedure fallimentari, separazioni e divorzi. Gli ufficiali giudiziari potranno avere accesso alle informazioni fino ad oggi tutelate dal segreto bancario senza nemmeno bisogno di fornire l’informativa prevista dall’articolo 13 del codice della privacy.

Come un paio d’anni fa, anche ora è stata definitivamente abolita la tutela della privacy di chi possiede un conto in banca. E come allora la gatta frettolosa ha fatto un decreto che sin da ora appare lacunoso. La normativa infatti dovrebbe essere attuata con un decreto del Ministero della Giustizia, che dovrebbe definire le precauzioni a tutela della riservatezza (come le misure di sicurezza e la tracciabilità degli accessi). Ma il decreto stabilisce che il creditore, in attesa che vengano definite procedure “corrette”, ha sin da ora il diritto di rivolgersi direttamente ai gestori delle banche per ottenere le informazioni per l’esecuzione.

In altre parole, gli ufficiali giudiziari, senza sapere se stanno violando la legge e la privacy, potranno chiedere alle banche e utilizzare informazioni sui conti correnti intestati a cittadini e imprese.

La giustificazione “ufficiale” è che in questo modo sarà possibile “finalmente” attuare l’articolo 2740 del Codice civile che prevede che il debitore risponda delle proprie obbligazioni con tutti i suoi beni presenti e futuri.

Ma ancora una volta, come già è avvenuto in tutti i precedenti Governi, sono sorti molti dubbi. E non solo connessi con la tutela della privacy. Innanzitutto perché a molti questa misura appare come l’ulteriore aiuto alle banche per permettergli di ridurre le spese del personale (ora a procedere non sono più i loro dipendenti, ma direttamente ufficiali giudiziari). E poi perché spesso ad essere debitori nei confronti dell’Erario non sono “semplici” cittadini e “comuni” imprese, ma le stesse banche. Sì, perché a ben guardare (e di questo il Governo avrebbe dovuto tenere conto e, invece, pare averlo dimenticato) tra i maggiori debitori nei confronti dell’Erario un posto di primo piano spetta proprio alle banche.

Proprio quelle che forniranno i dati dei propri clienti a soggetti con modalità ancora non ben definite (in attesa della specifica). Sarebbero loro tra i maggiori evasori. La loro è da tempo una sorta di “evasione autorizzata”.

Nel 2011, l’allora ministro Martino affermò, in un intervento su Il Foglio, che, se è vero che le banche non pagano le tasse, di fatto, per una sorta di traslazione, lo fanno per loro i dipendenti bancari, i depositanti e gli azionisti. Sempre Martino, pochi mesi fa, ha ritenuto opportuno spiegare meglio sul proprio blog la sua affermazione: le banche “non pagano tributi, si limitano a esigerli. Banche e imprese sono solo intermediari di due flussi pecuniari: uno in entrata, proveniente dai loro clienti, l’altro in uscita, destinato ai proprietari dei fattori produttivi da esse impiegati-lavoratori, azionisti, creditori. […] Tassare le banche o le imprese è espressione scorretta, i tassati sono esclusivamente persone fisiche; si dovrebbe dire tassare, per il tramite di banche o imprese, la gente. Quest’ovvietà non è stata evidentemente spiegata al dottor Renzi, né al ministro Padoan”.

Quindi sarebbe giustificato pensare che, essendo dei semplici “esecutori”, la misura introdotta dal Governo Renzi sia “solo” destinata a consentire loro di risparmiare. L’ex ministro, però, dimentica che le banche, oltre a fornire servizi ai propri clienti, investono sui mercati finanziari enormi quantità di denaro (decine e decine di volte più del capitale reale in loro possesso e spesso si tratta di denaro “virtuale”). E che questa operazione dovrebbe essere tassata e che le tasse dovrebbero gravare sui banchieri e non sui correntisti…

Fino ad ora la regola base è stata quella del “too big to fail”. Da anni le banche sono considerate dallo Stato come enti “troppo grandi” per fallire o anche solo per pagare per gli errori commessi. Quindi, non solo sono state aiutate (e si continua ad aiutarle) con prestiti e mutui a tassi irrisori, con misure che consentono la riduzione del personale e che favoriscono (ma il termine esatto sarebbe impongono) l’apertura di conti correnti e l’utilizzo di moneta non reale, ma il comportamento dell’Erario nei loro confronti è meglio che sia “accondiscendente”.

Così mentre ad un comune cittadino o ad un piccolo artigiano o commerciante viene richiesto, anzi imposto e con strumenti coercitivi che violano la loro privacy, il pagamento di tutto il dovuto, e molto di più, permettendo a soggetti terzi di avere accesso a dati che dovrebbero essere riservati (a meno di autorizzazioni della magistratura), lo Stato si comporta in modo “diverso” nei confronti delle banche.

Nel 2012, ad esempio, Banca Intesa ha “concordato” con l’Agenzia delle Entrate il pagamento di 230 milioni di euro. Somma molto inferiore al miliardo richiesto dall’Erario (casualmente alcuni dei manager di questo gruppo bancario a cui è stato contestati l’illecito fiscale sono finiti nel Governo Monti). Stessa cosa per il Monte dei Paschi che ha patteggiato 260 milioni a fronte di 1,08 miliardi di euro richiesti dall’Erario. E così per la Banca popolare di Milano che ha pagato 186 milioni di euro invece dei 313 contestati e per Unicredit che, recentemente, ha “definito” con l’Agenzie delle Entrate alcune controversie per operazioni di “finanza strutturata” dal 2007 al 2009: a seguito dell’accordo la banca pagherà al Fisco 264,4 milioni (Unicredit si dichiara comunque convinta della correttezza dell’operato proprio e dei propri esponenti e dipendenti anche cessati).

La realtà è che mentre ci si accanisce contro i comuni cittadini e mentre il Governo fa sì che le banche non debbano neanche pagare l’ ‘esecuzione’ delle azioni nei confronti di chi non paga (a volte anche deformando, e non poco, l’interpretazione di diversi principi costituzionali), contemporaneamente si permette alle grandi banche italiane di non pagare allo Stato gli oltre 5 miliardi di euro dovuti (tra accordi e sconti alla fine il Fisco incasserà molto meno del dovuto, forse non più di un miliardo).

Con l’ultimo decreto Giustizia il “Governo del fare” ha, di fatto, confermato di essere debole con i forti e di “fare” il forte con i deboli. Sì, perché proprio a proposito di “giustizia” in Italia la legge è uguale per tutti, ma non tutti sono uguali per legge. Quello che non si capisce è perché un imprenditore o un semplice cittadino debba rinunciare ai propri diritti civili, mentre una banca può non pagare o, al peggio (e solo quando viene scoperta), concordare il pagamento di cifre irrisorie.

Frank Knight, noto economista americano, disse: “Il guaio non è che tanta gente sa così poco di economia, ma che sanno tante cose che sono sbagliate…”.

 

 

 

 

C.Alessandro Mauceri

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