In Sicilia la politica regionale si declina ancora al maschile. È un quadro impietoso, quello che emerge dal rapporto Trova l’intrusa di Openpolis sui risicati spazi politici concessi ancora oggi all’altra metà del cielo. Non ne aveva fatto un mistero neanche il primo inquilino del parlamento più antico d’Europa, Gianfranco Miccichè, che appena qualche giorno fa, rivolgendo il dito contro la demagogia, aveva definito le quote rosa «una follia». E se, quantomeno, al presidente dell’Assemblea regionale va riconosciuto il merito di avere detto ciò che in molti tacciono per amore del politically correct, dati alla mano si tratta evidentemente di pensiero condiviso dal potere legislativo nell’Isola, che ancora oggi prevede la doppia preferenza di genere per i consigli comunali ma non accenna a voler aggiornare la normativa vigente in materia di Assemblea regionale.
Eppure dal rapporto di Openpolis risulta evidente che laddove la legge prevede la doppia preferenza, come nei casi dei Consigli comunali, le percentuali di donne sul totale degli eletti raggiungono livelli significativi. Basti guardare che nel 2009 in Sicilia si registrava il secondo peggior dato d’Italia in termini di presenza femminile nei consigli comunali, appena il 12,1 per cento. La stessa regione in cui, invece, il dato è stato triplicato nel momento in cui è stata applicata la legge sulla doppia preferenza, arrivando al 2016 al 37,8 per cento di consigliere comunali, dato più alto in Italia in quell’anno.
La percentuale, non a caso, scende vertiginosamente all’Assemblea regionale, dove le 16 deputate elette nella legislatura in corso rappresentano il 22 per cento degli inquilini di Sala d’Ercole. Ma il vero fanalino di coda d’Italia la Sicilia lo interpreta nella giunta regionale: la Sicilia è penultima con due donne al governo regionale, pari al 16 per cento degli assessori. Peccato che, col nuovo anno, la sostituzione di Mariella Ippolito alla Famiglia abbia fatto sì che l’unica donna rimasta in giunta sia Bernadette Grasso alla Funzione Pubblica. Facendo raggiungere all’esecutivo l’ultima posizione tra le regioni d’Italia.
Diverso invece il ragionamento che si legge sul report dell’osservatorio civico rispetto alle ultime elezioni politiche, quando la possibilità di inserire lo stesso candidato in più collegi ha fatto sì che si potesse aggirare la norma sull’alternanza di genere. «Grazie alle pluricandidature di sei seggi vinti dalla stessa candidata – si legge nel dossier -, cinque potrebbero andare a uomini. Maria Elena Boschi era la candidata del centrosinistra nel collegio uninominale di Bolzano. Allo stesso tempo però è stata candidata, come permesso dalla legge, in cinque diversi collegi plurinominali: Lazio 1-03, Lombardia 4-02, Sicilia 1-02, Sicilia 2-01 e Sicilia 2-03. In tutti questi collegi Maria Elena Boschi era capolista, implicando che il secondo in lista fosse un uomo, sempre come richiesto dalla legge. In quattro dei cinque collegi plurinominali in questione il Partito democratico ha ottenuto un solo seggio, assegnato quindi a Maria Elena Boschi. Essendo però vincitrice del collegio uninominale di Bolzano, questi quattro seggi sono andati ai secondi in lista, ovviamente tutti uomini».
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