«Grande amarezza». Dalla voce e dalle parole di Rino Giacalone, giornalista trapanese, la delusione traspare da ogni sillaba. Il suo articolo del 2007 dal titolo Quella strana lettera del sindaco di Trapani Girolamo Fazio, pubblicato da Articolo21, gli è costato una condanna per diffamazione e il pagamento di 25mila euro. A stabilirlo il tribunale di Trapani; a far partire la denuncia è stato proprio l’ex sindaco trapanese. Il pezzo riguarda il botta e risposta tra l’allora primo cittadino e il prefetto Fulvio Sodano sulla mancata concessione della cittadinanza onoraria a quest’ultimo, contraddistintosi negli anni passanti nella città nelle questioni legate ai beni sottratti alla mafia (la Calcestruzzi Ericina su tutti). «Con le sue denunce scrive Fazio nel 2007, nelle motivazioni Sodano rischia di passare per uno di quei tanti professionisti dellantimafia, tutti parole e niente fatti». Nel suo articolo a commento, Giacalone risponde: «Fazio ha ripetuto il suo solito esercizio che è quello delle negazione della realtà, ha ribaltato le cose come in queste stesse ore si è scoperto sta facendo il capo mafia latitante Matteo Messina Denaro». Ma è proprio l’accostamento con la primula rossa di Cosa nostra a provocare la reazione di Girolamo Fazio, finita trai banchi del tribunale.
«Forse non sono obiettivo – premette il cronista – ma è una sentenza che non sta né in cielo né in terra». La decisione del giudice onorario Giovanni Campisi ha provocato numerose reazioni nel mondo giornalistico – l’Associazione siciliana della stampa si è costituita accanto a Rino Giacalone – e non giornalistico. Ma a pesare, come spesso accade è il silenzio. «O non se n’è parlato, o chi ne ha parlato lo ha fatto quasi come fosse stata una condanna penale», commenta il giornalista. Secondo le accuse, l’ex primo cittadino sarebbe stato penalizzato dall’articolo. Eppure, poco tempo dopo la pubblicazione, Girolamo Fazio viene riconfermato primo cittadino di Trapani e un anno fa è stato eletto all’Assemblea regionale siciliana, spiega Giacalone. «Non vedo il danno morale», afferma ancora incredulo. Anche se a sorprenderlo ulteriormente è l’ulteriore pena inflitta: «A stupirmi, non è stata la condanna a pagare 25mila euro, ma le quattro pubblicazioni della sentenza sul Giornale di Sicilia». Una circostanza che non si è verificata «nemmeno in occasione del maxiprocesso», prosegue il cronista. Che ancora cerca di darsi una spiegazione, il motivo che ha portato ad una decisione così dura. «Sarò stato punito perché ho scritto di getto, ero arrabbiato». Ma si tratta di un articolo del quale non si pente, non ha alcun dubbio: «Il pezzo, forse sistemandolo meglio, lo riscriverei».
Su diversi siti di informazione e sui social network, in molti hanno manifestato la propria vicinanza a Rino Giacalone, uno dei pochissimi a seguire ancora il processo per l’omicidio di un’altra figura fondamentale per il giornalismo siciliano, Mauro Rostagno. Tra di essi Giacomo Di Girolamo, giovane direttore responsabile di Marsala.it, che condivide con Giacalone una vicenda simile: a giugno il sindaco di Marsala Giulia Adamo, gli ha richiesto un risarcimento danni di 50mila euro. Con una particolarità: non c’è un articolo dal carattere ritenuto diffamatorio contestato, ma l’intera linea editoriale del quotidiano online. A giorni si terrà la prima udienza del processo, e nella città è stato annunciata dal deputato Pd Davide Martello una giornata di mobilitazione per la libertà di informazione.
Il capoluogo sembra invece restio a mostrare qualsiasi cenno di emozione. Giovedì scorso, a un incontro in piazza di solidarietà, erano pochi i cittadini presenti. «Questa è Trapani. Certe cose, questa città, non vuole proprio saperle». E la mente corre ad altri anni difficili, per la città dei due mari come per il resto della Sicilia. Nella stessa settimana, le abitazioni di tre giornalisti palermitani (Riccardo Lo Verso di Livesicilia e Giuseppe Lo Bianco e Sandra Rizza de Il fatto quotidiano) sono state perquisite su ordine della Procura di Catania per un articolo sul ruolo ancora attivo di Totò Riina all’interno di Cosa nostra. Altri due professionisti (Paolo Borrometi e Massimo Di Martino) hanno ricevuto minacce di stampo mafioso. «Mi sembra di essere tornato negli anni ’80. La cappa è la stessa», conclude con preoccupazione Giacalone.
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