Rabbia e delusione. Questi i sentimenti che accomunano i parenti delle 37 vittime dell’alluvione del primo ottobre 2009 a Giampilieri, dopo la notizia dell’assoluzione in secondo grado degli unici due imputati condannati in primo grado per omicidio colposo plurimo. La corte d’Appello ha infatti assolto gli ex sindaci Giuseppe Buzzanca e Mario Briguglio, primi cittadini di Messina e Scaletta Zanclea.
Raffaella Ingrassia, la mamma di Leo e Christian Maugeri, i due ventenni trovati quella notte abbracciati ma senza vita, non ha avuto la forza di parlare, ma ha riversato tutto il suo rinnovato dolore in una lettera. «Per otto anni non sono mai mancata a nessuna udienza di questo maledetto processo – denuncia Ingrassia – perché chi prova il dolore insanabile per la perdita dei propri figli uccisi per mano di altri, sa che non può vivere senza il legittimo bisogno di vedere puniti i colpevoli. Per otto anni ho creduto fermamente che sarebbe stato punito chi avesse avuto colpa pagando i suoi errori. E cosa ho visto? – si domanda ripercorrendo le varie tappe giudiziarie -. Dapprima ho assistito all’assoluzione di alcuni imputati, precedentemente indagati e accusati dall’ufficio della procura e poi magicamente assolti, e alla condanna di sue sole persone in primo grado. Infine, a conclusione di questo processo d’Appello, vedo assolte anche queste due».
A questo punto la considerazione che fa Raffaella Ingrassia è la stessa di Corrado Manganaro, rappresentante del comitato Salviamo Giampilieri che subito dopo la sentenza ha domandato: «Nessuno è quindi colpevole?». E così anche la mamma di Leo e Christian si chiede: «Devo credere anch’io che è stata solo una calamità naturale, cosicché “posso accettare meglio la morte dei miei figli”, come mi è stato detto da qualcuno con cuore contrito». Amara la considerazione sulla precedente alluvione di due anni prima a Giampilieri che provocò ingenti danni e che rappresentò un avvertimento di quanto poteva succedere. «Certamente l’alluvione del 2007, allora, non è esistita. Come non sono mai esistite le somme di denaro stanziate e andate chissà dove, dopo quella alluvione. È stato normale che siano avvenute omissioni di vari soggetti ed enti competenti anche ai più alti livelli, che nel corso degli anni non hanno effettuato adeguate valutazioni tecniche, per consentire la messa in sicurezza del territorio, nonché interventi e controlli».
Tornando alla tragedia del primo ottobre del 2009, continua: «Come è stata anche normale l’assenza di un medico legale durante il ritrovamento dei corpi, così come giusta e logica è stata la lodevole superficialità con cui è stato trattato un processo di gravità così estrema, mimetizzato in un processo di ordinaria importanza». Perché sottolinea «L’importanza che bisognava dare a questo processo sarebbe servita anche da lezione per chi svolge un lavoro da cui dipendono parecchie vite, non solo a livello regionale ma anche nazionale. Non è accettabile che lavori di responsabilità si trasformino in nulla. Tutto ciò mi da conferma che la morte dei miei figli è stata inutile».
«A tutti gli effetti mi sento una vittima del sistema e so per certo che è lo Stato ad essere in debito con me. Un debito che non riuscirà mai a saldare. Alla luce di ciò, come cittadina italiana, ritengo che al di là delle risapute lungaggini della nostra giustizia, esiste una precisa volontà politica di non farla funzionare come dovrebbe. E quindi c’è da avere paura a vivere in questo paese dove vige una giustizia ingiusta e l’unico modo per credere in essa è non averci mai a che fare». La conclusione di Raffella Ingrassia è amara come tutta la sua lettera «È agghiacciante l’assenza di speranza in una giustizia leale. La giustizia è un diritto e un dovere. Risiede dentro ognuno di noi e urla dentro di me. Urla la disumanità di una giustizia mascherata che ha ucciso per la seconda volta i miei figli».
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