Giallo su neonato sparito, procura vuole archiviazione Tra presunte diagnosi errate e «barriere linguistiche»

Una storia avvolta nel mistero, tra ombre contraddizioni. A cui la procura di Caltagirone dedica una pagina, per provare a scriverne l’ultimo atto, i titoli di coda che fanno rima con richiesta di archiviazione. Il verdetto però, dopo l’udienza che si è tenuta a fine giugno, spetterà al giudice per le indagini preliminari, che sul suo tavolo troverà anche una richiesta d’opposizione. Protagonista di questa storia è una giovane migrante nigeriana arrivata a Catania dalla Libia all’inizio di dicembre 2016, in avanzato stato di gravidanza. Ospite del Centro d’accoglienza per richiedenti asilo di Mineo, la donna ha denunciato ai carabinieri la scomparsa di uno dei due bambini che era sicura di portare in grembo. 

Per mettere insieme i pezzi bisogna partire da dicembre dello scorso anno. O. D., queste le sue iniziali, arriva al porto di Catania due giorni dopo essere partita dalla Libia. Al momento del suo approdo nell’Isola la gravidanza, iniziata a marzo, è alle battute finali. Le sue condizioni però meritano un approfondimento e viene trasferita all’ospedale Santo Bambino. Qui i medici la visitano e attestano la presenza di due bambini «in uno stato di regolare evoluzione». A prendersi cura di lei, secondo quanto ha raccontato, sono un medico e tre dottoresse. L’equipe effettua l’esame ecografico, ma la stampa del documento non viene allegata al referto finale: non è chiaro se perché smarrito o mai stampato. Ma c’è dell’altro. Insieme all’indagine diagnostica i sanitari monitorano, a distanza di 35 minuti l’uno dall’altro, due battiti cardiaci. La data del parto è ormai imminente ma la migrante rifiuta il ricovero e viene trasferita al Cara di Mineo.

Qui resta soltanto per pochi giorni. Il 9 dicembre lamenta delle contrazioni intense e viene trasferita all’ospedale Gravina di Caltagirone. Carte alla mano questa storia prende una direzione inimmaginabile. Nel presidio calatino un’ecografia documenterebbe la presenza di un solo feto e, considerate le alterazioni del tracciato, si rende necessario optare per un parto cesareo con anestesia spinale. Poco dopo mezzogiorno l’epilogo e la nascita di un solo bambino che pesa poco più di tre chilogrammi. Che fine avrebbe fatto l’altro figlio? Una domanda ad oggi senza risposta che porta la donna a denunciare il presunto smarrimento ai carabinieri. Dalla sua, sostiene, c’è anche la presenza di una testimone, nigeriana come lei e sua amica, che dice di avere visto con i propri occhi «un’infermiera uscire dalla sala parto, con una culla e due bambini neri». A mancare, stando ai documenti, sarebbero state anche le risposte dei sanitari di Caltagirone che, secondo le parole dell’avvocato Tommaso Tamburino – incaricato dall’amministrazione giudiziaria del Cara per il caso -, si sarebbero trincerati «dietro le barriere linguistiche». Dopo 14 giorni di ricovero, e altri due interventi chirurgici per complicanze successive al parto, la donna nigeriana viene dimessa dal nosocomio calatino. 

Per la procura di Caltagirone, che su questa storia ha aperto un fascicolo conoscitivo, non ci sono dubbi: il caso è da archiviare per le modalità con cui sono state effettuati all’ospedale Santo Bambino gli esami cardiaci sui feti. L’intervallo tra i due tracciati, circa 35 minuti, «non è stato motivato e non ha giustificazioni dal punto di vista clinico», scrive il sostituto procuratore Vincenzo Calvagno. Il dubbio della procura è che i due risultati possano riferirsi allo stesso e unico bambino. Il magistrato, basandosi su una perizia chiesta dalla procura, sottolinea anche il mancato utilizzo di un macchinario capace di monitorare contemporaneamente il battito cardiaco di due feti e così non lasciare spazio a dubbi. Da Catania sarebbe quindi uscita una diagnosi «errata». La donna, dal canto suo, ha sostenuto di avere effettuato degli esami anche in Libia, dove le avrebbero confermato la presenza dei gemelli. Anche questa ipotesi non convince la procura, secondo cui nel Paese africano «è più alto il rischio di errore di un esame diagnostico».

Per chiarire il caso, nella richiesta d’opposizione all’archiviazione l’avvocato Tamburino avanza una serie di proposte d’approfondimento. Innanzitutto l’acquisizione dei referti dei medici libici all’ospedale Al Bayan di Tripoli. Utile, secondo il legale, sarebbe poi sentire il marito della donna, originario del Mali, presente durante le visite ma mai ascoltato come testimone. Stesso discorso per le tre dottoresse che si sarebbero occupate della migrante e per le quali Tamburino ha chiesto l’acquisizione dei turni di servizio del Santo Bambino. Per sgomberare i dubbi su un possibile scambio di persone o bambini, infine, l’avvocato chiede l’acquisizione dei nominativi delle pazienti passate il giorno del parto all’ospedale Gravina. Accertamento svolto su Catania e mai a Caltagirone. 

Dario De Luca

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