«Gente come Berlusconi è da tenere a distanza» I patti non rispettati tra l’ex premier e Graviano

«Piglia l’uomo, ci mandi a qualcuno che lui… Lo dobbiamo sapere solo noi due, così se paga le conseguenze… Prendetevi a qualcuno oppure mi fai sapere… a qualcuno e incominciate a portare…che poi saranno con le mani in pasto… altrimenti vi distruggiamo. Cercati la strada. Lo sai che significa?». È la mattina dell’11 aprile 2016 e quella che sta facendo Giuseppe Graviano al compagno di ora d’aria Umberto Adinolfi è una richiesta di un certo peso: mandare un messaggio a Silvio Berlusconi per sollecitarlo a mantenere gli accordi presi anni prima col nonno materno, Filippo Quartararo. «Con noi lui aveva dei patti che riguardavano alcuni investimenti dal valore di miliardi di lire», spiega oggi al pm Lombardo durante il processo ‘Ndrangheta stragista, che lo vede imputato a Reggio Calabria insieme al boss Rocco Santo Filippone. Ma perché quella richiesta, dopo tanti anni, proprio quel giorno? «Perché si avvicinava la scarcerazione di Adinolfi, mi ha chiesto se avevo bisogno di qualcosa, e io gli ho detto che non avevo bisogno di niente, solo di ricordargli a Berlusconi che io ancora sono vivo, mio cugino è morto ma io sono vivo, e di ricordare i debiti e gli impegni presi col nonno… Questi non meritano di avere più rapporti con noi, è gente da tenere a distanza».

Ma chi sarebbe stato l’aggancio di Adinolfi? «Non mi fate fare nomi, se no si coinvolgono persone…fatemi questa cortesia, io racconto i fatti, gli episodi, vi ho dato gli elementi da riscontrare, non mi fate parlare di persone che non c’entrano niente – replica lui -, era una persona che doveva portare il messaggio, poi Adinolfi mi dice “no no no” e io cambio discorso. Non posso insistere con una cosa su cui non è convinto. Era solo per sollecitare a mantenere questo impegno, tutto qui». Ma rivela, sollecitato dal pm, che anche prima in effetti aveva cercato di far arrivare quel messaggio a Berlusconi. Tant’è che nelle intercettazioni tira in ballo un certo Giovanni: è il nome del precedente tramite? «Non si chiama così, era un ragazzo che era detenuto con me. Giovanni non esiste, il nome è un altro, ma è stato scarcerato». L’intento di Graviano però non andrà mai in porto, a quanto pare. E quel messaggio rimarrà in carcere con lui. Ma quel nome, quello di Silvio Berlusconi, sembra quasi tormentarlo e nelle sue confidenze a Umberto Adinolfi continua a saltare fuori più volte.

«Berlusca… mi ha chiesto questa cortesia…per questo è stata l’urgenza di … come mai questo qua … poi che successe? Ero convinto che Berlusconi vinceva le elezioni in Sicilia … Berlusconi avevo costituito…che ci avevo tutta la popolazione in mano…L’amava, tu non puoi capire che cosa c’era…Io credevo in questa situazione. Ho costituito…La popolazione era innamorata Umbè… perché io se volevo il sindaco … per … in mezzo la strada era Berlusca … perché la gente non avevano bisogno di andarsene a rubare … ne niente … eh… aveva bisogno, venite, però vi dovete mettere la testa a posto. Alla fine che cosa è successo? Lui voleva scendere…però in quel periodo c’erano i vecchi…Lui mi ha detto ci vorrebbe una bella cosa…». Ma che significa questo discorso? Quale sarebbe questa cortesia? Secondo il racconto che fa Graviano oggi si tratterebbe della volontà di Berlusconi di scendere in politica, già nel ’92. E i vecchi chi sono? Per il boss di Brancaccio si tratterebbe di Bontate e degli Inzerillo, da parte dei quali si temevano ritorsioni ai figli del Cavaliere. Una risposta che, però, lascia perplesso il pubblico ministero. «Io le sto dicendo che riguarda dare lavoro alla gente, più chiaro di questo, io non so cosa dire», insiste lui, alludendo al fatto che sarebbe bastato questo per sostenere la campagna elettorale di Berlusconi. È un Graviano, quello di oggi, che, tra un nome che vuole mantenere segreto e più d’una frase lasciata a metà, sembra quasi avere la memoria un po’ più corta rispetto alla scorsa settimana.

«Non possiamo andare oltre, non finirà così, non solo con lui», insisteva intanto nel 2016, sempre nelle intercettazioni. Chi c’è oltre Berlusconi, quindi? Perché questa frase sembra fare riferimento a più soggetti. «Forse mi riferivo alla persona che ha fatto da tramite, da ambasciatore con mio nonno – dice lui -, siamo alla fine degli anni ’60, parliamo di questo periodo, io il nome preciso non lo so, devo andare a informarmi. Se ascoltate bene le intercettazioni – dice più avanti -, io non utilizzo violenza, io vorrei solo che mi guardassero in faccia e mi spiegassero il perché di questo comportamento vergognoso. Non solo quello che Berlusconi ha ricevuto e ha raggiunto grazie ai rapporti con mio nonno, poi le stragi, io arrestato, e in più sta facendo leggi vergognose perché sono incostituzionali. Io sono stato arrestato per un progetto che è stato voluto da più persone, lo dimostra che io ricevevo visite dopo il mio arresto ogni giorno, non so se le registrate, basta andare a vedere i registri, venivano ogni giorno carabinieri, polizia, alla fine mi hanno detto che mi avrebbero accusato di tutte le stragi d’Italia e che mio fratello Filippo non sarebbe uscito… È tutto un progetto per farmi accusare delle stragi, non possono essere solo gli imprenditori, ma anche i carabinieri, e c’è anche lo zampino di Contorno e di Grado».

«I carabinieri sanno tutta sta situazione – insiste -, più in là quando affronteremo certi argomenti vi porterò tutta la documentazione, non vorrei dire ora qualcosa che non corrispondesse alla verità, io bugie non ne racconto, io dico le cose come sono state perché ho una dignità. Se una cosa non la posso dimostrare non la dico». Ma Graviano non sarebbe l’unico rimasto fregato dall’ex premier, che avrebbe fatto a suo dire un passo indietro rispetto agli accordi presi all’epoca con suo nonno. «Ci sono imprenditori siciliani che, alla fine degli anni ’60 e nei primi anni ’70, hanno dato 20 miliardi a Berlusconi per degli investimenti». Ma se, come dice lui, quello era un investimento lecito, perché mandare messaggi attraverso un detenuto e non andare direttamente a chiedere conto e ragione della propria parte? Perché gli altri imprenditori coinvolti non lo fanno? Perché nessuno tira fuori il documento scritto che attesta il coinvolgimento di certe persone in quell’affare? «Nel febbraio ’94 doveva essere formalizzato tutto…- risponde Graviano, quasi sviando -, mio cugino questi soldi non glieli ha dati direttamente, li stava investendo a Palermo e in altre città, stava investendo in via La Colla per comprare tutti i magazzini, poi l’affare non è andato a compimento, e allora mio cugino li ha investiti nell’Iti caffè. Si doveva formalizzare tutto a febbraio ma io sono stato arrestato il 27 gennaio».

Graviano, dal canto suo, intercettato continua a tirare inconsapevolmente fuori altri nomi. Come quello di Marcello Dell’Utri, che secondo il boss avrebbero condannato sempre a causa di Berlusconi: «Perché per non fare uscire a noi dal carcere ha tradito pure a Dell’Utri, che è stato condannato, Berlusconi lo ha danneggiato. Con le sentenze che ci sono state, con i “sentito dire” dei collaboratori si prendeva una condanna». Ma che c’entra Berlusconi? Non era lui che emetteva le sentenze dei processi. «Per le leggi che sono state approvate per non fare uscire a noi, indirettamente ha danneggiato anche Dell’Utri e tutti i detenuti che hanno il 41 bis. Che prima era stato attenuato, potevamo cucinare, potevamo stare 4 ore a passeggio invece che una sola, ma poi venne chiuso l’Asinara nel ’97…- dice -. Non c’era trattativa con nessuno comunque, ci appellavamo a tutti, lei non si immagina cosa succedeva a Pianosa, non c’era niente di costituzionale. Io non accetto ricatti dallo Stato, perché loro non cercavano il colpevole, ma un colpevole», sbotta ancora. Malgrado il sospetto che, con le sue risposte di oggi, Graviano tenti di sviare certi argomenti e di rispondere nella maniera più vaga possibile, una cosa sembra emergere chiaramente. Che nei suoi sfoghi quando parla di Berlusconi non si lamenta solo dell’aspetto economico e di quell’antico patto mai rispettato. Ma si sofferma più volte su una legislazione antimafia avversa. Come a dire che dall’ex premier si aspettava vantaggi anche di altra natura, oltre a quelli economici? Il dubbio sembra lecito. Ma Graviano non sembra intenzionato a dare una spiegazione chiara.

Ma non ci sono solo le intercettazioni con Adinolfi. A destare perplessità ulteriori c’è anche la registrazione di una conversazione con i suoi famigliari, durante un colloquio nel 2018 dentro al carcere di Terni. In cui il boss dice senza mezzi termini che «Berlusconi e Alfano hanno fatto delle infamità alla legge 41 bis, che i politici non capiscono niente e sono i giornalisti che decidono cosa fare con il carcere duro». Tirando ancora una volta in ballo la politica e non l’aspetto economico, perché? «Perché sono gli unici che stanno facendo queste cattiverie, per non farmi uscire dal carcere, mi fate dire sempre le stesse cose», si lamenta il boss. È a questo punto che il pm Lombardo tira fuori l’episodio del figlio del boss concepito in carcere in regime di 41 bis. Come ha fatto? È un’altra domanda a cui Graviano non vuole assolutamente rispondere. «Io ci sono riuscito, non posso raccontare queste cose intime, ma sicuramente non è andata come è stato scritto che mia moglie dormiva nella mia cella – dice oggi, ammettendo di non aver fatto alcuna richiesta specifica per questa circostanza -. Io ci sono riuscito per i fatti miei perché chi mi doveva sorvegliare si è distratto…come ci sono riuscito non lo racconterò mai a nessuno perché sono cose intime mie e di mia moglie, in tanti sono venuti a chiedermi di questa situazione, ma non lo dirò a nessuno. Avevo preso un impegno con mia moglie, mi sarei giocato la qualsiasi, in quel periodo ero in trepidazione…ma succedono queste cose – continua -, è inutile che continuiamo con questi argomenti, io non ho fatto niente di illecito. Non lo posso spiegare come ho fatto, è personale, io ci sono riuscito ringraziando Dio, e sono rimasto soddisfatto. Una cosa bellissima che ha aperto la porta a tutti».

Con Adinolfi però, malgrado l’aspetto intimo della confidenza, s’era lasciato scappare qualcosa di più nel 2016, rivelandogli che all’epoca era in vera e propria trepidazione, «cose da pazzi Umbè…lei nascosta dentro le robbe..». Frasi che oggi però non sembra disposto a spiegare. «Ma a cosa può servire questa cosa così personale in questo procedimento? Perché mi sta facendo queste domande?», chiede a un certo punto spazientito al pm. Ma, forse, lo sa bene anche lui perché queste domande. Dopo tutte le sue lamentele, e non solo per i soldi mancati con Berlusconi, ma per le leggi avverse, il 41 bis, il carcere duro, i disagi, quello di poter concepire un figlio in carcere e in quelle condizioni soprattutto non sarà stato proprio uno di quei passi volutamente fatti da qualcuno verso di lui? «Ma non è un fatto politico questo – dice subito Graviano -. Qualcuno ha chiuso un occhio ma a livello di sorveglianza, non ci sono politici coinvolti», rassicura.

Un esame, il suo, sul filo del dico/non dico. Graviano un po’ si sbottona con dichiarazioni che sembrano più degli sfoghi che un racconto lineare e lucido, un po’ si chiude di nuovo a riccio. Malgrado il progetto, in passato, di scrivere addirittura un libro autobiografico firmato Madre natura, il soprannome con cui lo chiamavano nell’ambiente mafioso. Ma sembra sempre che questo non sia il momento per scendere approfonditamente dentro certe questioni. Come quella della strage di via D’Amelio, argomento che, assicura il boss, sarà «un vaso di Pandora che porterà a tante malefatte legate a tanti misteri italiani ancora nascosti». Affrontare questo capitolo in particolare, promette lui, permetterà anche di fare piena luce sul coinvolgimento della famiglia Graviano dentro Cosa nostra: «Sono stati trovati libri mastri con le liste dei nomi, non esistono i Graviano, questo dà conferma che noi non ci facciamo pagare, che Spatuzza dice quello che legge sui giornali, il capo di Brancaccio era Pino Savoca, è scritto in tutte le liste ritrovate, su di noi non c’è niente, solo chiacchiere».

Silvia Buffa

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