Gela, settimana calda per i lavoratori della raffineria Tra lettere di licenziamento e richieste al governo

«La storia si ripete sempre due volte: la prima volta come tragedia, la seconda come farsa». Il noto aforisma di Karl Marx rischia di essere la sintesi più adeguata per la tormentata settimana che ha visti nuovamente protagonisti gli operai e gli ex operai della moribonda raffineria di Gela. Che attende una riconversione green a olio di palma e nuove trivellazioni a terra e mare da oltre un anno, dai famosi accordi del 6 novembre 2014. Nulla di nuovo sotto il sole, in realtà. Quel protocollo prevedeva già che tutto il 2015 sarebbe passato tra ingegnerizzazione e progettazione dei nuovi impianti. E che, nel frattempo, quelli vecchi e le aziende che con questi lavoravano sarebbero rimasti fermi. 

È il 10 dicembre scorso, quando 72 operai dell’indotto, 68 dell’Elettroclima e 4 della Nuova X Gamma si vedono recapitare le lettere di licenziamento dalle proprie aziende. Un malaugurante regalo di Natale che si è tradotto in blocchi stradali agli accessi degli impianti industriali. Un copione già visto nel luglio 2014, quando Eni decise in maniera unilaterale di far saltare gli accordi del 2013 che prevedevano la riconversione di due linee di produzione a gasolio. Si sono viste dunque le stesse scene dell’anno precedente: blocchi partecipati da poche decine di operai, e tensione tra gli stessi per gli scarsi numeri e i blandi divieti d’accesso. Ma anche solidarietà a parole della popolazione gelese, che si è guardata bene dallo scendere per le strade, messe ai presidi e parole di conforto dal vescovo Rosario Gisana, visite degli assessori e del sindaco (questa volta a cinque stelle, nel 2014 a marca Pd). E poi ancora gli appelli congiunti dell’amministrazione comunale, dei sindacati confederali e della Regione al governo Renzi affinché si decida a intervenire, chiedendogli di salvare non solo le banche.

Dopo gli appelli della dirigenza Eni a sospendere i blocchi per garantire le condizioni di sicurezza, nel vertice straordinario, che si è tenuto a Caltanissetta martedì scorso, il prefetto Maria Teresa Cucinotta ha ribadito che i presidi andavano rimossi. Così è stato. Su Facebook, il segretario generale della Cgil di Caltanissetta Ignazio Giudice ha lodato la «maturità la saggezza e la civiltà» dei lavoratori. Insieme alla precisazione che «i blocchi sono stati tolti a fronte dell’impegno assunto dal Governo, diversamente ripartiranno». Rimangono però i nodi irrisolti. Se il collegamento col recente passato può aiutare – lo scioglimento dei blocchi nel luglio 2014 portò al protocollo d’intesa – adesso si deve tentare di rovesciare l’aforisma di Karl Marx. Anche perché ai drammi dei lavoratori Elettroclima e Nuova Gamma X potrebbero associarsene a breve altri. 

C’è il caso dei 140 lavoratori della Smim Impianti, che attendono il rinnovo della cassa integrazione. Altrimenti potrebbero essere notificate pure a loro le mobilità, cioè l’anticamera del licenziamento, senza dimenticare che alcuni di essi sono in cassa integrazione da 4 anni. Esiste poi la vicenda Sudelettra, l’azienda che conta più di 60 dipendenti e che ha concluso sia la cassa integrazione ordinaria che straordinaria. Lavoratori inseriti nel bacino di disponibilità sancito da un accordo sindacale di quasi 3 anni fa e mai entrato in vigore. «L’unica cosa che rimane da fare – scrive in una nota il capogruppo del M5s all’Ars Giancarlo Cancelleri – è chiedere immediatamente all’Eni di sborsare i soldi che deve ai gelesi per bonificare l’intera area e a Renzi di utilizzare i fondi europei (Feg) per garantire a tutti i lavoratori una riqualificazione lavorativa concreta e duratura». 

Ma cos’è il Feg? Lo spiega lo stesso meetup di Gela, che nei giorni scorsi ha inoltrato all’amministrazione comunale una proposta di utilizzo. «Il Fondo europeo di adeguamento alla globalizzazione – si legge nella lettera aperta – offre un sostegno a coloro che hanno perso il lavoro a seguito di importanti mutamenti strutturali del commercio mondiale, ad esempio in caso di chiusura di un’impresa o delocalizzazione di una produzione in un paese extracomunitario, oppure a seguito della crisi economica finanziaria mondiale». Vero è che le richieste di contributo vengono presentate dal Ministero del Lavoro ma la sollecitazione deve giungere, come sottolinea la stessa nota del meetup, dagli attori locali interessati: istituzioni, parti sociali, imprese e lavoratori.

Andrea Turco

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