Gela, se sbatti Eni in prima pagina il colpevole sei tu «Per il Guardian invece è un disastro tipo Chernobyl»

Per gli inglesi è «il più grande disastro ambientale d’Europa dopo Chernobyl», per chi ci abita tornare a parlarne «è una camurria». Da 60 anni quando dici Gela dici Eni: l’ex stabilimento petrolchimico ed ex raffineria continua a essere raccontato dai media nazionali ed internazionali come uno dei casi esemplari di inquinamento industriale. Venerdì scorso è stato il turno del The Guardian che, in un pezzo a firma del corrispondenteLorenzo Tondo, ha ricordato che «i tassi di mortalità sono più alti che in qualunque altro posto nell’Isola, e Gela ha un tasso inusualmente alto di malformazioni, incluso il più alto tasso al mondo di una rara sindrome che colpisce l’uretra».

Per poi raccontare, tra gli altri, il caso di Kimberly Scudera: la 20enne gelese, campionessa italiana di tiro con l’arco che si allena per partecipare alla Paraolimpiadi del 2020, «affetta dalla spina bifida – una grave malformazione per la quale durante la gravidanza la spina dorsale e il midollo spinale non si sviluppano come dovrebbero – e usa una sedia a rotelle». Dati, processi (l’ultimo riguarda le accuse a cinque dirigenti, Eni «avrebbe scaricato illegalmente tonnellate di rifiuti tossici in una discarica larga circa cinque chilometri»), interviste all’avvocato Luigi Fontanella e al procuratore Fernando Asaro: l’articolo di Tondo ha fatto il punto sulla presenza industriale in Sicilia.

Ma la rinnovata attenzione internazionale come è stata recepita dalla cittadinanza? Si potrebbe dire con un’alzata di spalle. A partire dagli operai. Tra loro vige quasi disinteresse. In fondo – coi cancelli chiusi della Raffineria – devono pensare a tirare avanti la carretta. E, specie per Natale, in tanti rimangono con l’ansia del lavoro che non c’è. «Sinceramente non è che ne abbiamo parlato molto, neppure al bar», ammette Franco, metalmeccanico in mobilità e alla perenne ricerca di qualche trasferta che possa dare ossigeno alla propria famiglia. Per l’ex collega Salvatore, addirittura, è solo «l’ennesima camurria».

L’avvocato Fontanella, che nei confronti del cane a sei zampe ha presentato una serie di denunce (tra cui un ricorso cautelativo d’urgenza in sede civile), guarda altrove. «Registro l’assoluto silenzio delle istituzioni – dice il legale – e penso ad esempio al Comune, che è pur sempre l’autorità sanitaria, e il governo regionale che potrebbe prendere immediate iniziative in merito. Fa sorridere che dall’estero debbano spiegarci come stiamo. Il dato più forte rimane il fatto che nessuno si muove». Il pezzo del The Guardian su Gela è stato già ripreso da quotidiani tedeschi e olandesi, e pare che abbia solleticato le attenzioni d’oltreoceano del Wall Street Journal, nonché di agenzie russe e canadesi. Mentre le testate locali si sono limitate a citare il lavoro inglese, ricco di documenti, senza aggiungere altro che non fosse già a loro conoscenza (o almeno si presume).

«Per me era pazzesco che non se ne fosse parlato prima a livello internazionale», afferma l’autore dell’articolo. «Quando l’hanno letto sul The Guardian, i redattori erano scioccati, per loro si tratta di uno dei più grandi disastri ambientali d’Europa dopo Chernobyl – continua Tondo -. Studiando il caso di Gela, di cui mi sono già occupato in passato, vengono in mente tante domande, domande finora senza risposta: come mai nessuno ha fatto nulla? Come mai le bonifiche non sono state effettuate? Come è possibile che Eni continui a negare l’evidenza?». 

Una delle questioni principali rimane, soprattutto a partire dagli anni ’90, il cosiddetto nesso causale: vale a dire l’eventuale correlazione tra la presenza industriale e l’inquinamento ambientale. Mai accertato a livello giuridico, messo in discussione dalla classe politica, definito per chi a Gela ci vive. Il corrispondente italiano del quotidiano inglese è cosciente di queste dinamiche e spiega che «la letteratura scientifica a livello mondiale, e penso ad esempio a genetisti di fama internazionale che hanno studiato l’altissimo numero di malformazioni neonatali, ha fornito elementi che dovrebbero far riflettere. Forse la gente si è quasi stancata di ascoltare queste storie – osserva ancora il giornalista -, forse si rischia di diventare ripetitivi e invece così non è. Ora che il lavoro non c’è, a Gela sono rimasti solo i morti, e forse anche per questo se ne parla di più. Eppure i primi studi sul tema risalgono agli anni ’90, ma forse allora il gioco non valeva la candela».

Nella condivisione del pezzo, Tondo ha poi notato una discrasia nei commenti: «I lettori inglesi erano unanimi nello shock e nella condanna, mentre ho constatato che ci sono gelesi che io definisco negazionisti. Mi è dispiaciuto che ci sia stato chi abbia messo in discussione l’incidenza dei tumori o la presenza di sostanze tossiche nel terreno e in mare, qualcuno mi ha pure detto che sono articoli come il mio a compromettere l’immagine della città. Come se l’immagine di Gela non fosse già compromessa da 56 anni di presenza del cane a sei zampe. Rimangono finora gli applausi a Renzi per la cosiddetta riconversione che non risolve certo i problemi ambientali».

Andrea Turco

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