Gela, indagini chiuse sullo sversamento Contestato il reato di disastro colposo

Disastro colposo, inquinamento e scarico non autorizzato di reflui industriali. La Procura della Repubblica di Gela ha chiuso le indagini sullo sversamento di greggio nel fiume Gela e successivamente e mare dello scorso 4 giugno dalla raffineria dell’Eni. Tonnellate di indrocarburi: 13mila e 500 litri misti ad acqua in un’ora e venti, «con effetti sull’ambiente arginati solo in parte dalle operazioni di messa in sicurezza d’emergenza». Le contestazioni sono state avanzate nei confronti di cinque dirigenti e di tre operatori della Raffineria di Gela S.p.A.

Coordinati dai pubblici ministeri, i militari della Guardia costiera di Gela e del Nucleo Speciale d’Intervento del Comando Generale di Roma hanno svolto in questi mesi accurate indagini, avvalendosi anche dell’aiuto di consulenti tecnici, a conclusioni delle quali è stata accertata una vasta contaminazione del corso d’acqua e del tratto di costa fino al lido La Conchiglia. La fuoriuscita di greggio da uno scarico dell’impianto Topping 1 è iniziata alle 5 e 25 e si è conclusa alle 6 e 45. Un periodo di tempo lungo anche perché, sottolineano i magistrati, «non sono state correttamente individuate le cause e venivano poste in essere manovre inutili».

Gli investigatori hanno invece ricostruito la sequenza dei fatti, i motivi e le responsabilità dei soggetti coinvolti. «Si ipotizza – scrive il procuratore capo Lucia Lotti – che l’evento sia derivato da negligenze nella gestione degli impianti e da carenze strutturali degli impianti stessi». In particolare il giorno dell’incidente si ritiene si sarebbe verificata «una catena di errori gestionali e operativi e di difetti di coordinamento tra l’impianto Topping 1 e il Parco generale serbatoi da cui proveniva il greggio da trattare nel Topping 1, nel caso caratterizzato da un abnorme contenuto di acqua». Secondo i pm non sarebbero stati effettuati controlli adeguati per individuare da quale serbatoio provenisse l’acqua e dopo un corto circuito all’interno dell’impianto, non sarebbero state effettuate «le azioni correttive più adeguate per diminuire il livello di acqua presente». Una volta verificatosi l’incidente, inoltre, sarebbero seguite delle manovre errate, «con la conseguenza dello scarico di greggio misto ad acqua nel canale».

L’incidente poteva essere evitato. Lo scrivono sempre i pm nell’atto di conclusione delle indagini. Sarebbe servito «un assetto impiantistico più adeguato cioè con la previsione e l’adozione di strumenti idonei al monitoraggio della quantità di acqua all’interno dei serbatoi, con l’inserimento di valvole di non ritorno nel circuito del Topping 1 interessato all’evento – in modo da impedire l’afflusso di inquinanti in uno scarico destinato all’acqua -, con la previsione di presidi efficienti (esplosimetri) in grado di rilevare la presenza di idrocarburi nel pozzetto di ispezione in prossimità dello scarico nel canale A». Misure riconosciute importanti dalla stessa raffineria, visto che sono state adottate, ma solo dopo lo sversamento del 4 giugno.

Il reato contestato è quello di disastro innominato colposo, previsto dagli articoli 434 e 449 del codice penale. L’incidente ha cioè messo «in serio pericolo l’incolumità di un numero indeterminato di persone ed in particolare l’integrità della salute degli abitanti del territorio gelese, già classificato area ad elevato rischio di crisi ambientale». A questo si aggiungono le ipotesi contravvenzionali di inquinamento e di scarico non autorizzato di reflui industriali. Scatta anche l’illecito amministrativo a carico della stessa Raffineria di Gela S.p.A.perché i reati sono ritenuti «commessi nell’interesse e vantaggio dell’ente in quanto derivanti da condotte omissive riguardo alla gestione e manutenzione degli impianti coinvolti».

Redazione

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