«Solo nella mia scuola ci sono 22 alunni autistici e 54 bambini e bambine con varie disabilità. È una cifra impressionante. Perché questi numeri così alti sono sempre nelle zone industriali, come a Gela così ad Augusta e Milazzo? Lo vogliamo denunciare o no questo nesso, questo legame?». È il 2 aprile quando Rosalba Marchisciana, dirigente scolastica del primo istituto comprensivo di Gela, lancia un appello che risulta graffiante come unghie sulla lavagna. Al teatro comunale Eschilo si sta infatti tenendo un incontro sulla giornata mondiale dedicata alla consapevolezza dell’autismo.
Nei giorni precedenti la città è stata invasa dal colore blu, scelto per una massiccia campagna di sensibilizzazione che ha visto impegnate associazioni, giornalisti, enti locali. «Ho individuato il rischio di una città edulcorata, che mettesse in evidenza solo le buone prassi – spiega la docente -. Ho notato molta ipocrisia, soprattutto in quei tanti interlocutori istituzionali che spesso non sono in condizione di rispondere ai reali bisogni. Si dice spesso ad esempio in queste occasioni che bisogna fare sistema, che bisogna fare rete, ma poi non lo si fa. La realtà insomma non è sempre blu. Spero che il 2 aprile sia il punto di partenza per la costituzione di un tavolo tecnico che veda insieme tutte le forze propositive che hanno veramente a cuore il problema».
A tal proposito la preside ha le idee molto chiare. «L’autismo, e più in generale le disabilità dei bambini, sono certamente un problema sociale. Ma la priorità a mio parere deve rimanere la scuola. Spesso siamo gli unici interlocutori dei genitori che si affidano totalmente a noi. Invece da decenni gli enti locali impiegano pochissime risorse». Marchisciana dirige un istituto con quattro plessi in quartieri popolari. Conosce molto bene le difficoltà economiche di genitori che non possono permettersi cure adeguate e metodi innovativi. Per questo motivo insiste sulla necessità di garantire assistenza specialistica, che significa prima di tutto dare dignità alla persona. E cita un esempio che la riguarda in prima persona. «Con le risorse economiche a nostra disposizione – sottolinea – riusciamo a garantire per i nostri bambini speciali solo un’operatrice che, per ogni plesso, ha a che fare con sette, otto di loro. I bambini cioè possono andare in bagno solo in quell’ora e mezza in cui c’è l’operatrice. La somma per questo servizio, poi, la riceviamo una tantum, è squalificante».
Per fare in modo che il mondo della scuola e le attenzioni per i bambini non siano solo al centro dei proclami della politica, la dirigente invita a «cambiare angolo visuale»; questo, spiega, «permetterebbe di costruire una città a misura di bambino. Ne usufruirebbe ogni singolo settore: dai servizi sociali, attraverso la formazione di figure specialistiche, ai lavori pubblici che dovrebbero rendere le strade percorribili per gli studenti, alla cura in generale per gli spazi esterni e non solo per gli edifici scolastici».
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