Il nove ottobre di 31 anni fa Giuseppe Failla viene ucciso nel bar dove lavorava, a Gela. Oggi quel delitto trova una collocazione all’interno della guerra di mafia tra Cosa Nostra nissena e la Stidda, grazie alle indagini della direzione distrettuale antimafia di Caltanissetta che ha verificato le convergenti dichiarazioni di tre collaboratori di giustizia. Così stamattina i carabinieri del Ros hanno arrestato a Torino e a Lipomo, piccolo Comune lombardo in provincia di Como, Cataldo Terminio, considerato uomo di punta della famiglia mafiosa di San Cataldo che da poco finito di scontare 30 anni di carcere, e Angelo Bruno Greco, entrambi a piede libero.
Gli investigatori hanno cercato riscontri alle dichiarazioni dei pentiti Leonardo Messina, Ciro Gaetano Vara e Salvatore Ferraro. I tre hanno indicato in Terminio l’ideatore e l’esecutore materiale dell’omicidio, con il supporto di Angelo Palermo, uomo d’onore rappresentante della famiglia di Caltanissetta, che avrebbe fatto da autista al momento dell’azione di fuoco, e di Greco, appartenente alla famiglia di Gela, col ruolo di basista. Anche l’ex rappresentante provinciale di Caltanissetta Giuseppe Madonia avrebbe dato il via libera all’omicidio di Failla.
Secondo quanto ricostruito, Terminio avrebbe deciso di uccidere Failla per vendicare la morte del padre, Nicolò Terminio, pure lui uomo d’onore della famiglia di San Cataldo e ucciso in un agguato il 17 aprile del 1982 per mano del gruppo dei cosiddetti stiddari selvaggi, guidato da Emanuele Cerruto e Loreto Plicato, di cui avrebbe fatto parte anche Failla. Un gruppo fuoriuscito negli anni ’80 da Cosa Nostra a causa dei forti contrasti sulla spartizione dei proventi delle estorsioni e che avviò in quel periodo una sanguinosa guerra di mafia per il predominio sul territorio di Gela, durante la quale morirono anche gli stessi Cerruto e Plicato.
«La famiglia mafiosa di San Cataldo continua a mantenere un ruolo di rilievo sul territorio», ha commentato il procuratore di Caltanissetta Amedeo Bertone nel corso della conferenza stampa per illustrare i dettagli dell’operazione. «Così come hanno dimostrato le recenti operazioni Kalyroon e Pandora – ha proseguito Bertone – la famiglia di San Cataldo continua ad avere una certa effervescenza che speriamo sia stata raggelata attraverso quest’ultima misura cautelare».
Terminio, arrestato oggi a Torino, si era trasferito nel capoluogo piemontese dopo aver finito di scontare una condanna a 30 anni di carcere per alcuni omicidi di mafia avvenuti a Milano negli anni ’80. Era tornato in libertà nell’ottobre del 2018, ed era sottoposto all’obbligo di dimora nel Comune di residenza, cioè a Torino, dove avrebbe cercato di iniziare una vita diversa. «Faceva lavoretti di volontariato – spiega la sua legale, Eliana Zecca – non voleva più saperne della Sicilia, diceva che sperava che tutti si dimenticassero di lui». Ma per Terminio oggi si sono spalacante, nuovamente, le porte del carcere.
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