È stata una settimana intensa sul fronte Eni a Gela. Il protocollo d’intesa, firmato a Roma presso il Ministero dello Sviluppo Economico il 6 novembre scorso, doveva essere la panacea di ogni male per il futuro della raffineria, convertita in green. Invece i problemi sono rimasti, ed anzi sembrerebbero acuiti. A distanza di otto mesi mancano ancora le autorizzazioni necessarie a sbloccare i lavori. Non sono stati definiti neanche gli interventi sulle opere di compensazione, quei 32 milioni di euro che avevano fatto gola alla cittadinanza e coi quali il presidente della Regione Rosario Crocetta aveva promesso che si sarebbero rifatte strade e piazze.
Il rischio maggiore di questa mancata applicazione è rappresentato dalla diga Disueri. Il ritardo degli interventi su questta struttura sta lasciando nuovamente a secco gli agricoltori. Neanche il decreto per l’area di crisi complessa, che avrebbe dovuto essere una boccata d’ossigeno per i lavoratori, come più volte ribadito dai sindacati, è stato finora pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale. Per provare ad accelerare l’iter delle autorizzazioni necessarie, la nuova amministrazione a Cinquestelle ha incontrato giovedì scorso i vertici Eni ed Enimed. Obiettivo: sollecitare ulteriormente la Regione siciliana, additata come responsabile del mancato rispetto degli accordi. E assente anche al tavolo di giovedì scorso.
«Abbiamo già avuto un incontro con i suoi rappresentanti – spiegano in una nota il sindaco Domenico Messinese ed il vicesindaco Simone Siciliano – Stiamo istituendo un tavolo di coordinamento in grado di monitorare e dare nuovo slancio alle azioni del protocollo». Nella ricostruzione che il primo cittadino gelese fornisce a Meridionews, i numeri della possibile intesa sono comunque molto inferiori rispetto a quelli del luglio 2013, quando la chiusura della Raffineria di Gela divenne certa con la pubblicazione dei nuovi piani industriali Eni. «Per tre turni di lavoro – dice Messinese – dovrebbero essere impiegati nella green rafinery tra gli 80 e i 120 operai. L’unico raffronto in questo senso si può fare con gli impianti di Venezia, e lì a regime i lavoratori sono 200. Tra le altre cose – continua – a denti stretti i vertici di Eni ed Enimed hanno detto che in quegli impianti non ci perdono e non ci guadagnano. Le trivellazioni a terra e mare, poi, impiegheranno ancor meno persone. A voler stare larghi il mondo Eni prevede a Gela l’impiego di 700-750 lavoratori». Meno della metà rispetto solamente a due anni fa.
Non a caso venerdì 17 luglio, davanti la sede del Comune, si è svolta una protesta da parte di una cinquantina di metalmeccanici dell’indotto, tra i settori più penalizzati. Per questo motivo Messinese e Siciliano hanno convocato, nella stessa mattinata, i sindacati. Che hanno espresso preoccupazione per l’imminente scadenza degli ammortizzatori sociali. Secondo le cifre a loro disposizione, una trentina di operai non percepisce più alcuna indennità già da maggio scorso. Col rischio concreto che tra qualche mese questa situazione possa estendersi a tutti i metalmeccanici dell’indotto.
Chi può va già via, a cercare nuovi impieghi in altre fabbriche sparse per l’Italia e l’Europa. È il caso di Franco, 54 anni ad agosto, che è alla terza trasferta in pochi mesi, dopo Priolo e Milazzo. «Adesso sono nella Svizzera francese insieme ad altri 20 colleghi di Gela – racconta – Il lavoro è duro, ma nelle raffinerie siciliane lo è stato molto di più. Siamo stati sfruttati come se avessimo le forze di un 18enne. Bisogna farci l’abitudine, perchè a Gela non c’è speranza di tornare».
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