Francis, da Aosta per trovare moglie morta dopo un naufragio «A un anno di distanza, abbiamo dato un nome a un numero»

Chi gliela racconta una storia come questa a Matteo Salvini? Chi gliela racconta una storia come questa al neoministro degli Interni, che a poche ore dalla nomina ha promesso, in vista del suo arrivo in Sicilia previsto per oggi, che «la pacchia per i clandestini è finita»? La storia di Francis Ipisbhe – il nigeriano che ha viaggiato da Aosta a Palermo, a un anno di distanza, per ritrovare il corpo della giovane moglie morta in un naufragio del 25 maggio 2017 – è di quelle che fa davvero rabbrividire. E che mette insieme tutto: la spietata e cieca burocrazia, l’amore e la speranza che non muoiono mai, la solidarietà che oltrepassa distanze che sembrano insormontabili. 

Bisogna cominciare dalla fine, o quasi, per capirne a fondo la portata. Cioè da quando l’associazione HRYO (Human Rights Youth Organization) organizza allo Stato Brado, insieme a Maghweb, l’incontro Anatomia di un naufragio. Per raccontare un aspetto sconosciuto: cosa ne è dei corpi di chi non ce la fa a superare quello che è il più grande cimitero al mondo, vale a dire il mar Mediterraneo, durante la traversata per raggiungere l’Europa. «Dopo quell’incontro, avvenuto il 30 marzo  – racconta Marco Farina, che fa parte di HRYO – sono stato contattato da una responsabile della Einap di Aosta, Tiziana. Che mi chiede cosa posso fare per aiutarla a contattare la questura di Palermo. In una loro struttura c’è un uomo, Francis, che sta cercando da quasi un anno di riconoscere il corpo della moglie, morta dopo un naufragio al quale lui è riuscito a sopravvivere. Francis mandava continue mail, ma non riceveva mai risposte. Per fortuna, col lavoro che faccio, ho continui contatti col dipartimento legale, con la questura e con gli uffici della polizia, specialmente col reparto persone scomparse. Di solito le persone che lavorano in questo ambito non sono molto motivate di fronte casi del genere, perchè è come cercare un ago in un pagliaio, ma questa volta la rete di solidarietà che si è creata è stata fantastica».

Il resto della storia lo racconta Francis. A volte si fa fatica a capirlo, almeno per chi non ha dimestichezza con l’inglese parlato in Africa. Ma la sua storia è di quelle che colpiscono dritto al volto. In dieci anni l’uomo mette da parte un po’ di soldi, grazie al suo lavoro come benzinaio in un distributore alle porte di Benin. All’inizio di aprile del 2017 decide, come tanti altri migliaia di connazionali, di partire per la Libia e da lì per l’Italia. Poi, chissà, l’Europa. Francis parte con la moglie Mary. Arrivano insieme nel Canale di Sicilia. L’ultima traversata, dopo un viaggio lungo più di un mese. Ma il gommone si ribalta dopo appena 30 miglie dalla costa. Francis ripete spesso la parola water – acqua – e lo fa con un’intensità che sembra quasi di trovarsi bagnati alla fine del suo discorso. 

«Il gommone perdeva acqua sin dall’inizio – dice Francis -. Dopo quattro ore di viaggio ci siamo accorti che c’era qualcosa che non andava. Nel frattempo arrivano gli elicotteri che ci individuano, insieme a due motoscafi della Croce Rossa. Quando siamo finiti in acqua so che Mary respirava ancora. Ma quando sono arrivati i soccorsi, e mi hanno lanciato la corda per salvarci, mia moglie era già diventata di pietra. L’ho tirata su ma lei era già morta». I superstiti del naufragio vengono trasferiti a Lampedusa. E lì restano tre giorni, durante i quali Francis vive con accanto il cadavere della moglie sul ponte della nave che resta ormeggiata a riva. «L’ho tenuta legata a me, anche se cominciava a puzzare» aggiunge.

Tre giorni atroci per Francis, costretto a rimanere confinato a Lampedusa – e in quella situazione, col processo di decomposizione del cadavere della moglie in atto – perchè in quei giorni a Taormina si tiene il G7 ed è impossibile attraccare in qualunque porto della Sicilia. La situazione si sblocca solo con la fine del vertice, e vede l’arrivo di Francis ad Augusta. Nella notte poi viene trasferito a Palermo. E tre giorni dopo ad Aosta, ad oltre 1600 chilometri dalla tomba della moglie. Che non vedrà per un anno, fino all’intervento decisivo di HRYO. Francis intanto ha chiesto asilo politico in Italia. Palermo gli piace, dice, e vorrebbe viverci. Mary è ora sepolta al cimitero dei Rotoli del capoluogo siciliano. Il vedovo affronta 20 ore di viaggio in treno per ricongiungersi alla donna. Si tratta in genere di fosse anonime, disseminate in varie parti della Sicilia, senza croce perché di solito non si conosce la religione degli annegati.

«Solo ora Francis può cominciare a elaborare il lutto – dice ancora Marco Farina -. Al cimitero abbiamo trovato un numero, il 3, e abbiamo dato un nome a un numero. È stata un’esperienza molto forte, perchè quando abbiamo trovato il posto non sapevamo esattamente dove fosse la tomba. Quando siamo arrivati Francis ha prima fumato una sigaretta, poi ha voluto essere lasciato solo e ha deposto un mazzo di fiori sulla tomba. Io non lo so chi sia il responsabile di tragedie del genere: se l’Unione Europea, l’Italia, la Libia, la Nigeria. È più un sistema politico, che classifica poi i migranti in climatici, economici, e mille altre definizioni . Dietro ogni sbarco ci sono storie, persone, non numeri».   

Andrea Turco

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