Francesco Malavolta, il fotogiornalista dei migranti «Lavoro per svegliare le coscienze, basta stereotipi»

Nasce a Corigliano Calabro, ma la vita lo porta a trasferirsi nell’assolata Palermo. Lui è Francesco Malavolta, fotogiornalista affermato, da anni in viaggio per l’Europa al seguito dei flussi migratori. «Potrei considerare Palermo una seconda casa. Anzi, addirittura la prima, visto che vivo qui da tanto tempo», racconta il fotoreporter. «Non credo nelle barriere e nei confini, non esiste una casa. Sicuramente si ha un legame con la terra in cui si nasce, ma mi sento un cittadino del mondo». 

La passione per quello che presto diventerà il suo mestiere affiora quando ha appena diciotto anni: «Ero attratto più dalle immagini che dalla fotografia in sé, ricordo che acquistavo nei mercatini riviste come Epoca, Life e Panorama. Le prime foto – racconta Malavolta – le ho fatte nel porto di Brindisi ai migranti scappati dall’Albania». Da qui la voglia crescente di scoprire cosa spingesse le persone a lasciare le proprie case, le proprie città e soprattutto quali storie ci fossero dietro le loro vite. Non era scontato come oggi», precisa il fotogiornalista.

Ma stare di fronte a migliaia di persone ammassate su un gommone o appena sbarcate, esauste, suscita qualcosa che travalica la professione stessa: «Tengo sempre presente che quello che sto facendo è un lavoro che qualcuno mi ha commissionato e quindi lo devo portare a termine – spiega – ma siamo umani: si gioca con un bambino, si danno consigli a chi li chiede. Io interagisco con queste persone, per me è quasi necessario». Malavolta non insegue la notorietà né lo scoop a tutti i costi, piuttosto si fa portavoce della gente che fotografa e la racconta rispettandone la dignità. Sullo sfondo un’Europa pericolosamente sfaldata e che il viaggio di Papa Francesco in terra greca cercherà di sanare.

«Il mio intento è di svegliare tutte quelle anime, quelle coscienze che si fanno abbindolare dagli stereotipi messi in circolazione dai cattivi politici – precisa il fotoreporter -, svegliare tutti i creduloni che sono convinti che i migranti, appena scesi dal barcone, finiscano negli alberghi di lusso o nelle case o che percepiscano denaro». Le sue immagini si fanno portatrici di una denuncia, ma anche di emozioni. Vogliono dare una scossa alla gente, colpirla, e i risultati sono già arrivati: «Spesso faccio delle mostre nel nord Italia, dove la gente ci si potrebbe aspettare sia un po’ più diffidente», racconta a MeridioNews. «In realtà, con sorpresa, vedo molte persone che si fanno coinvolgere e mi chiedono come inviare soldi, vestiti, cibo, come dare un lavoro o addirittura come adottare intere famiglie di rifugiati».

Il suo lavoro e la sua passione lo portano da vent’anni in giro per l’Europa, da Lesbo a Lampedusa alla penisola balcanica, in Macedonia, Serbia e Croazia. E ancora Ceuta e Melilla, due enclave spagnole geograficamente situate in Marocco, dove a dividere i migranti dal vecchio continente non è che una rete di filo spinato. «Quando alle mie mostre qualcuno piange per l’emozione, mi dico che devo assolutamente continuare a fare ciò che faccio – prosegue -, che devo andare avanti utilizzando i social media. Sto pensando di creare una sorta di microgiornale personale utile a mettere in circolo le storie delle persone che incontro». Ma un lavoro così totalizzante, si sa, richiede grossi sacrifici. Dopo vent’anni ininterrotti di viaggi c’è qualcosa che cambierebbe? «Nulla. Anzi, forse sì: ripensandoci, mi ci sarei dovuto buttare a capofitto molto prima».

Silvia Buffa

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