«Ho detto al presidente che ce la possiamo fare in 15 mesi». Alla cerimonia di consegna dell’atteso appalto della frana di Letojanni sulla A18, l’imprenditore Antonio Pinzone ha preso un impegno col governatore Nello Musumeci. Abbattere i tempi per ultimare i lavori, ridurre di altri 90 giorni i 18 mesi previsti da contratto. Troppo importante cancellare quella vergogna che da quattro anni interrompe l’autostrada Catania-Messina dopo la frana venuta giù il 5 ottobre 2015. Per riuscirci Pinzone, imprenditore catanese direttore tecnico della Cospin srl, ha formato un raggruppamento temporaneo di imprese con un’altra ditta, la calabrese Sgromo Costruzioni. «Li conoscevo da tempo, loro hanno una storia molto forte», spiega. Una storia che però è finita al centro delle attenzioni dell’Antimafia e della prefettura di Catanzaro, che nel febbraio 2017 ha emesso un’interdittiva antimafia nei confronti della Sgromo Costruzioni. Poi trasformata in controllo giudiziario, strumento più blando che consente ai titolari di rimanere in sella alla propria azienda obbligandoli però a rendere conto delle loro attività a un amministratore giudiziario nominato dal Tribunale. La misura viene applicata quando «sussistono circostanze da cui si possa desumere il pericolo di infiltrazioni mafiose».
Dei fratelli Eugenio e Sebastiano Sgromo parlano diversi collaboratori di giustizia calabresi. Gli imprenditori vengono citati nelle carte dell’operazione Andromeda del Tribunale di Catanzaro, che nel 2015 colpì soprattutto il clan Iannazzo, ritenuta la cosca leader in ampie zone di Lamezia Terme e attiva soprattutto nel settore edilizio e dei grandi appalti. Con alcune imprese riconducibili alla potente ndrina, gli Sgromo avrebbero portato avanti diversi affari. «Molte imprese del gruppo Sgromo – si legge nella relazione sullo scioglimento per mafia del Comune di Lamezia Terme di giugno 2017 – sono state destinatarie di interdittive antimafia emesse all’inizio dell’anno dal prefetto di Catanzaro; tra di esse la Sgromo Costruzioni Srl e la Eurobitume Sas per le quali, a seguito di approfondite attività ispettive condotte dal locale gruppo interforze, è stato accertato un frequente rapporto commerciale con la società di costruzioni I.C.S. srl, totalmente riconducibile ai tre fratelli Francesco, Antonio e Domenico Iannazzo».
I fratelli Sgromo, stando a quanto riporta la relazione della Direzione nazionale antimafia del 2017, sono stati anche destinatari di un avviso di conclusione indagini per associazione mafiosa nel giugno del 2016. «Tutto archiviato – risponde Sebastiano Sgromo a MeridioNews – noi siamo puliti, anzi siamo vittime della ‘ndrangheta. Abbiamo denunciato, siamo testimoni di giustizia e sono stato pure sotto scorta. I rapporti con la cosca Iannazzo? Inesistenti».
Queste vicende sono costate, però, ai fratelli Sgromo l’interdittiva antimafia nel febbraio del 2017. A seguito del loro ricorso, il Tribunale di Catanzaro ha concesso il controllo giudiziario, previsto dall’articolo 34 bis del decreto legislativo 159/2011. Misura che consente alla Sgromo di essere nuovamente inserita nella white list della Prefettura di Catanzaro e tornare a partecipare anche a gare pubbliche. «Tutto nasce da un subappalto che abbiamo ricevuto da una ditta che poi ha avuto problemi ma che in quel momento era in white list – risponde Sgromo – il controllo giudiziario riguarda solo i nostri rapporti commerciali, fosse per me me lo terrei a vita così stiamo sicuri delle ditte con cui abbiamo a che fare».
Per aggiudicarsi l’appalto per la frana di Letojanni (ente appaltante il Cas e che prevede la costruzione di due gallerie per stabilizzare la frana, per un valore complessivo di 15 milioni, scesi a 11,8 grazie al ribasso delle imprese) la Sgromo si è associata alla Cospin di Antonio Pinzone.
Per gli inquirenti, l’imprenditore catanese è amico di Carmelo Paratore, a processo con l’accusa di essere un affiliato del clan Santapaola. Dietro le sue aziende – lidi, locali e la discarica Cisma di Melilli – ci sarebbero gli interessi del boss Maurizio Zuccaro. Nell’operazione Piramidi, che a marzo del 2017 fece luce su quel sistema, Pinzone non è indagato ma viene citato più volte come una delle persone di cui Carmelo Paratore si fida, al punto che, annota la guardia di finanza, «gli consegnava spesso il denaro frutto del traffico di influenze». Soldi che, stando agli investigatori, sarebbero serviti anche per corrompere il funzionario della Regione Mario Corradino, coinvolto pure lui nell’inchiesta. «Io non ho avuto alcun problema da quella storia, non c’era nulla – replica Pinzone, contattato da MeridioNews – Paratore lo conosco da quando eravamo piccoli. Abitavamo a 50 metri l’uno dall’altro a Santa Domenica Vittoria».
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