Forno crematorio, progetto pronto dal 2008 Il Comune: «L’area assegnata è impegnata»

A Palermo c’è, ma è stato costruito vent’anni fa e funziona a singhiozzo. A Misterbianco potrebbe essere realizzato a breve, ma il bando è ancora aperto. A Catania un progetto, completo di tutte le autorizzazioni necessarie, rimane chiuso dal 2008 nei cassetti del Comune. Parliamo dell’impianto di cremazione, struttura assente dalla Campania in giù. Se un siciliano decidesse di non essere tradizionalmente tumulato ma di tornare cenere dopo la sua morte, il suo corpo dovrebbe essere portato a Battipaglia, provincia di Salerno.

La cremazione è un rito ormai accettato dalla Chiesa cattolica. A Catania se ne parla da quasi 15 anni: nel 2002 l’amministrazione Scapagnini individua l’area idonea, nel 2004 viene affidato l’incarico all’architetto Maurizio Zappalà per la parte edile-civile e all’ingegnere Vincenzo Rizzo per quella impiantistica; nel 2008 il progetto definitivo, per un costo complessivo di due milioni e 500mila euro, con tanto di autorizzazioni ambientali da parte della Regione, viene approvato. In quest’arco di tempo l’intervento viene costantemente inserito dal Comune nel piano triennale delle opere pubbliche, compreso l’ultimo 2012/2014, da realizzare in project financing.

Eppure nulla si muove. Oggi il colpo di scena. «L’area dove doveva sorgere il forno è già occupata». «Così mi hanno risposto all’ufficio tecnico del Comune quando sono andato a verificare se qualcosa si stesse muovendo, considerato anche l’interessamento mostrato dal sindaco Enzo Bianco durante la campagna elettorale», spiega l’architetto Maurizio Zappalà.

L’area del cimitero destinata al forno crematorio

Eppure, come mostrano le foto scattate qualche settimana fa, l’area di quattromila e 500 metri quadrati all’interno del cimitero Acquicella dove dovrebbe sorgere l’impianto è tuttora libera da costruzioni. «Risulta impegnata da una confraternita», affermano dall’ufficio tecnico, notizia confermata dall’assessore Rosario D’Agata. «Alla luce di questo, stiamo verificando la bontà del progetto medesimo. Le soluzioni sono due: modificarlo su un’area più ridotta o cambiarlo radicalmente». Attorno alla zona interessata, che ricade nel quartiere Zia Lisa, sorgono già cappelle gestite da Confraternite. Il terreno fu messo a disposizione dalle suore dell’adiacente convento di Santa Chiara ed è servito da molte strade, soprattutto dalla via Acquicella, quindi è facilmente raggiungibile con i mezzi sia pubblici che privati.

Il progetto prevede la costruzione di una moderna struttura in acciaio e vetro che comprende una sala cerimonie a pianta ottagonale – simbolo che nella cabala, simboleggia la morte e la resurrezione – per i riti religiosi; il locale per il forno crematorio e uno per un eventuale secondo impianto, di circa 100 metri quadri ciascuna; la sala d’attesa dove i parenti potranno seguire, attraverso una tv a circuito chiuso, tutti i passaggi del feretro dalla sala cerimonie alla sala cremazione e al forno, per un monitoraggio completo. E ancora un corridoio, una sala per le cellette che ospiteranno le urne cinerarie, una corte con vasca d’acqua, la sala per gli officianti, il cinerario comune, un luogo per la meditazione. All’esterno verrebbero costruite una strada per il passaggio delle auto e una per i pedoni. Tutto intorno è previsto lo spazio per decine di alberi.

«L’estrema attenzione alla soluzione architettonica dei manufatti, la qualificata scelta del verde, la presenza non solo estetica dell’acqua, l’assoluto rispetto dell’impatto ambientale renderanno l’area ecocompatibile con il contesto urbanistico e con il territorio circostante», si legge nella relazione tecnica del progetto. Che sembrava aver convinto proprio tutti: l’assessorato regionale all’Ambiente, i vigili del fuoco, l’azienda sanitaria provinciale. Nel verbale con cui l’assessorato ai Lavori pubblici del Comune approva il progetto definitivo, ci sono le autorizzazioni necessarie. E’ il 23 settembre del 2008.

Nel frattempo la situazione di crisi economica dell’ente comunale ha fatto propendere per l’inserimento dell’opera tra quelle da realizzare in project financing. «Le risorse economiche necessarie – aggiunge l’architetto Zappalà – potrebbero essere, tra l’altro, reperibili in quel 60 per cento di somme della Comunità europea che le amministrazioni non riescono a spendere per mancanza di progetti cantierabili. In questo caso da dieci anni langue questo progetto negli archivi fumosi di un ufficio e come al solito la politica scaricabarile si lava le mani».

Ufficialmente i motivi per cui i lavori non sono mai partiti sono due: la sopraggiunta indisponibilità del terreno e il potenziale scarso utilizzo del servizio. Per quanto riguarda il primo punto, l’individuazione dell’area e la sua destinazione per l’impianto di cremazione risale al 2002. Il 15 novembre di quell’anno la giunta guidata dall’ex sindaco Umberto Scapagnini «approva la localizzazione dell’intervento e dà il compito ad un professionista di effettuare il rilievo planimetrico del sito». Il progetto, come già detto, da quel momento viene inserito costantemente nei piani delle opere triennali. «Mi sembra anomalo che sia stata destinata successivamente ad altri – sottolinea Zappalà – Tuttavia, se anche fosse così, qualcuno avrebbe potuto chiedermi di ridimensionare il piano su un’area più ridotta, ma nessuno mi ha cercato, nonostante abbia manifestato all’assessore la mia disponibilità». In che modo un’area individuata dal Comune per una determinata finalità è stata poi concessa a privati per altri scopo? «Sono gli arcani misteri delle varie amministrazioni di centrodestra che si sono succedute, noi abbiamo ereditato questa situazione», risponde D’Agata.

Secondo i dati del Servizio funerali pubblici italiani, nel 2011 nell’impianto del cimitero di Palermo si registrarono 435 cremazioni. Una goccia – lo 0,2 per cento – sul totale italiano, ma in fortissima crescita – più 132 per cento – rispetto all’anno precedente. Il dato è crollato nel 2012, con appena 166 cremazioni, ma è fortemente condizionato dalle frequenti chiusure del forno, costruito negli anni ’90 e che necessita di continue e costose manutenzioni. «Quando si fanno questi conti – conclude Zappalà – bisogna considerare che un impianto a Catania potrebbe servire parte del Sud Italia, Malta e la sponda sud del Mediterraneo». Un business potenziale, dunque, oltre che un servizio e una scelta di civiltà.

Salvo Catalano

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