Formazione, l’atto di diffida contro la Regione di oltre mille dipendenti preoccupa i potenti

La vicenda legata all’atto di diffida e messa in mora della Regione siciliana, promosso spontaneamente da un gruppo di lavoratori ha dato fastidio a molti. Si tratta di una iniziativa che ha registrato l’adesione di oltre mille lavoratori. Una prova di forza alla quale hanno risposto in massa gli operatori della formazione professionale dell’Isola.

Il tema è serio e di quelli che provocheranno certamente strascichi giudiziari ed un notevole contenzioso, anche se Ludovico Albert, il tecnico pidiessino posto al vertice del dipartimento Istruzione e Formazione professionale  potrebbe dire che nessun contenzioso ha mai dovuto affrontare.

La nostra testata giornalistica, intanto, continua ad essere tempestata di segnalazioni e telefonate di lavoratori del settore interessati a sottoscrivere la diffida. I primi di ottobre 2012 si potrà desumere il dato definitivo dei sottoscrittori. Ci riferiscono che è in atto la cosiddetta “conta”, ovvero la pesatura del livello di attenzione dei lavoratori rispetto alle iniziative promosse al di fuori delle organizzazioni sindacali. Visti i risultati si prefigurerebbe la Class action contro l’Amministrazione regionale.

Ma non tutti la pensano alla stessa maniera. Un giornale pluralista come il nostro non poteva non afffrontare la contrapposizione nata tra diversi commentatori in ordine alle disquisizioni intorno all’articolo pubblicato ieri dal nostro giornale e dal titolo: “Formazione. L’atto di diffida alla Regione scatena un putiferio”. Che qualcuno non sia d’accordo ci può stare ed anzi ci deve stare per non perdere di vista il sacro principio della democrazia. Ma diversi dubbi emergono da quanto asserito.

Sembrerebbe ancora una volta assistere all’ennesimo tentativo di imbonire gli operatori della formazione professionale con argomenti, vaghi quanto infondati, che vorrebbero dare veste e valore giuridico alla tanto conclamata riforma del settore, effettuata di fatto in violazione di tutte le norme che disciplinano la formazione professionale in Sicilia.

Sull’argomento ci è pervenuto, da alcuni legali, un parere che mira a chiarire alcuni aspetti dell’iniziata legata all’atto di diffida e che volentieri pubblichiamo di seguito:

1) La legge regionale n. 24/1976 è, a tutt’oggi, in vigore e parte dell’ordinamento giuridico, non risultando essere stata -abrogata – neanche parzialmente – da nessuna normativa regionale e/o nazionale. (a sinistra, un’immagine della Corte di Cassazione, fto tratta da giornalisticalabria.it)

2) La legge regionale n. 23/2002 non ha affatto abrogato la legge n. 24/76, ma ha esteso le modalità previste per le attività formative cofinanziate dal Fondo sociale europeo alla realizzazione “del Piano per la formazione professionale di cui alla legge regionale n. 24/76 e successive modifiche e integrazioni”, con decorrenza 1° gennaio 2003 (Cfr. art 39 comma 1 l.r. n. 23/2002). Tale legge è stata seguita dalla circolare assessoriale n. 1/03/FP del 17 febbraio 2003 avente ad oggetto “Direttive per la gestione del P:R.O.F. – Piano Regionale dell’Offerta Formativa – ex legge regionale n. 24/1976 e successive modifiche e integrazioni, per l’anno 2003. Modalità di applicazione dell’art 39 della legge regionale n. 23/2002.

3) Tutto ciò depone, senza necessità di richiamo ad altre pure vigenti fonti normative, per la compatibilità della legge regionale n. 24/76 e successive modifiche ed integrazioni con i Regolamenti Comunitari in materia; ciò tanto più che l’art. 5 comma 2 della l.r.. n. 24/76 prevede espressamente la possibilità di decretare Piani Pluriennali finanziati con contributi comunitari.

4) In relazione alla citata vincolante giurisprudenza della Suprema Corte espressa tra il 1990 ed il 1999, si richiama la sentenza n. 127/96 emessa in sede di impugnazione del Commissario dello Stato dell’art. 2 della l.r. n. 25/93. In quell’occasione la Corte, ritenuta la natura non assistenziale della norma, ebbe a statuire sulla costituzionalità della stessa e sull’obbligo della Regione Sicilia derivante dal complesso normativo di cui alla l.r. n. 24/76 di osservare il C.C.N.L. di categoria e di assicurare – ai sensi dell’art. 27 del medesimo contratto di lavoro – la continuità lavorativa al personale iscritto all’albo ai sensi dell’art 14 l.r. 24/76.

Con espressa disponibilità ad ulteriori chiarimenti, compatibili con l’intraprendente azione giudiziaria, in ordine alla fondatezza dell’atto stragiudiziale di diffida redatto dal testo della Sentenza n.127 del 17/24 aprile 1996, estrapoliamo alcuni passaggi nei quali la Suprema Corte (Corte Costituzionale) ha inteso chiarire la norma. Sentenza pronunciata nel giudizio di legittimità costituzionale della legge approvata dall’Assemblea regionale siciliana il 16 maggio 1995 e riguardante, tra gli altri, i processi di mobilità degli operatori della formazione professionale.

“….che la Regione sarebbe vincolata, ai sensi dell’art. 13 della legge regionale 6 marzo 1976, n. 24, ad adeguare i suoi interventi al contenuto del contratto collettivo, si evidenzia che quest’ultimo non si limita a disciplinare la posizione del personale nei confronti dei rispettivi enti, ma prevede adempimenti ed oneri che gravano direttamente sulle Regioni, dei quali l’art. 27 costituisce un esempio. Proprio la totale attuazione di tale articolo incontra un limite nella incompleta disciplina dettata dalla legge regionale n. 24 del 1976, sicché non può contestarsi il diritto dell’Assemblea regionale ad intervenire legislativamente, onde consentire la piena attuazione degli obblighi contrattuali già assunti, secondo quanto sostenuto, tra l’altro, dal Consiglio di Giustizia amministrativa….”. Ed ancora, “Si assume, inoltre, l’esistenza nella legislazione nazionale di riferimento di una norma, ovvero l’art. 9, quarto comma, della legge n. 845 del 1978 che, al fine di garantire la mobilità del personale, e quindi i livelli occupazionali, impone alla Regione di legiferare al riguardo, anche per evitare agli operatori della formazione professionale in mobilità una disparità di trattamento nei confronti di personale in analoga situazione su tutto il territorio nazionale…”. La Corte Costituzionale precisa inoltre “… Considerato in diritto … La questione non è fondata, secondo quanto di seguito si dirà”. E dispone: “… La difesa della Regione, nel negare la violazione dei principi costituzionali invocati nel ricorso, obietta che la disposizione impugnata è indirizzata a consentire la piena attuazione degli obblighi discendenti, per la Regione, dal contratto collettivo nazionale della categoria …. “. E precisa ancora la Suprema Corte sul processo di mobilità del personale della formazione professionale: “…. Ad integrazione di tale disciplina generale, la successiva legge regionale n. 25 del 1993 stabilisce (art. 2, primo comma) il principio che al personale iscritto nel citato albo, con rapporto di lavoro a tempo indeterminato, è garantita la continuità lavorativa e il trattamento economico stabilito dal contratto collettivo nazionale di categoria. La disposizione censurata, aggiungendo un ulteriore comma a detto articolo, autorizza, con riguardo ai lavoratori testé menzionati, l’Assessore regionale ad attuare i processi di mobilità previsti dal contratto collettivo”. “…A ben vedere, la disposizione censurata, nella sua genericità, non investe l’Assessore regionale di competenze e di responsabilità, in tema di mobilità, maggiori di quelle che possano essere desunte, di per sé, dal citato contratto collettivo di lavoro, nel quadro delle sopra richiamate norme legislative regionali. Così intesa, la stessa più che risultare, secondo quanto sostenuto dalla difesa della Regione, funzionale all’attuazione dell’art. 27 del contratto collettivo di lavoro, appare addirittura tautologica e perciò superflua, in quanto volta a ribadire ciò che già è dato evincere aliunde….”. In un successivo passaggio la Corte Costituzionale precisa la propria posizione in maniera inconfutabile dichiarando: “…Pertanto, una volta negata la esattezza della premessa dalla quale muove il Commissario dello Stato, va escluso che la disposizione si ponga in contrasto con i parametri costituzionali invocati nel ricorso… “. E quindi “… Dichiara non fondata, nei sensi di cui in motivazione, la questione di legittimità costituzionale sollevata dal Commissario dello Stato con il ricorso in epigrafe, avverso l’art. 2 della medesima legge regionale, in riferimento agli artt. 3, 81, quarto comma, 97 della Costituzione e 17, lettera f), dello Statuto speciale..”.

Abbiamo ritenuto doveroso rispondere alle diverse richieste di lettori interessati al chiarimento su quanto effettivamente pronunciato dalla Corte Costituzionale in merito alle leggi regionali 24 del 6 marzo 1976 e 1° settembre 1993, n.25. E’ chiaro che il rango delle leggi regionali, in atto in vigore, dovrebbe rappresentare il giusto deterrente per chi, magari non interessato ad approfondire i meccanismo che regolano le “Fonti del Diritto” pur percependo una “barcata di soldi”, ha recentemente e reiteratamente azzardato rilievi di incostituzionalità della legge regionale 24/76.

In questo generale caos nella formazione professionale auspichiamo che si verifichi al più presto un cambio di squadra al vertice decisionali politico ed amministrativo, visti risultati raggiunti fino ad oggi. Per la verità nessun candidato ha chiarito fino in fondo quali propositi nutre sul settore, a differenza di qualche organizzazione sindacale che i vertici li ha cambiati ed ha deciso di non occuparsi di formazione professionale.

Giuseppe Messina

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