Svanisce il sogno di molti investitori che hanno coltivato la speranza di lucrare con la formazione professionale? A leggere attentamente l’allegato uno al Decreto dirigenziale n.5274 dell’11 dicembre scorso, a firma dell’Autorità di gestione del Fondo sociale europeo (Fse) in Sicilia, Anna Rosa Corsello, sembrerebbe proprio di sì.
A quanto si apprende, con questo decreto chi ha investito nelle società formative potrebbe restare fregato. Motivo: non avrebbe più la possibilità di fare utili. Come si potrebbe arrivare a questo lo spiegheremo più avanti.
Intanto prosegue senza sosta l’attività delle Fiamme Gialle. Prelevate, questa volta, nelle scorse ore, le carte della Società cooperativa sociale C&B, ente di formazione operante tra Catania e Siracusa, ma vicino all’esponente di spicco del Pd nazionale, Francantonio Genovese. Cooperativa che, probabilmente, grazie alla vicinanza con Genovese ha ottenuto proprio 4000 ore in più, rispetto agli anni precedenti, a valere sull’Avviso 20/2011.
In questo stato di confusione nel settore, proviamo a fare qualche ragionamento, tentando di schernirlo da facili condizionamenti o trascinamenti del momento. Enfatizzare serve a poco. Che sia cambiato il clima nel settore della formazione professionale non vi sono oramai più dubbi. E di certo non per l’amplificazione data dalla trasmissione televisiva “Report”, andata in onda su Rai 3 lo scorso 9 dicembre, che ha portato nelle case di milioni di italiani il malcostume tutto siciliano di un sistema affaristico-clientelare coltivato e foraggiato da un mondo politico e socio-economico malato.
In Sicilia tutti sapevano e pochi parlavano. Oggi registriamo la corsa alla dichiarazione, un vero e proprio teatrino spocchioso e terribilmente falso che alimenta il senso del suicidio di massa dell’intero sistema formativo. Non si salva nessuno. E’ facile puntare il dito sulla politica che ha grandi responsabilità. Ma cosa dire del mondo sindacale che, ad un certo punto, quando cominciava a bruciare il cerino in mano, ha ritenuto di esercitarsi in forme alchemiche e magiche. Si proprio così, il mondo sindacale è corso ai ripari cambiando vestito agli Enti formativi di proprietà divenuti, nel tempo di uno schiocco delle dita, società di capitali. E che
dire di certe associazioni datoriali, con Confindustria in cima, che non hanno perso tempo nel tirare valanghe di pietre contro il sistema formativo siciliano. Ma scusate: Forma Sicilia e Cenfop forse appartengono all’associazione dei marziani? E che dire dei tanti dirigenti regionali che hanno sistemato parenti in diversi enti formativi?
Non a caso la Corsello, che è anche dirigente generale ad interim della Istruzione e Formazione professionale, ha avviato, nelle scorse ore, una indagine interna per verificare se esistono rapporti di parentela tra i funzionari dell’assessorato regionale al ramo. Ovvero per verificare quello che tutti sanno da anni…
Ma torniamo alla formazione professionale, una deflagrazione, quella registrata nelle ultime quarantotto ore. Questa esplosione mediatica del fenomeno, ripetiamo, ampiamente conosciuto in Sicilia in tutti gli ambienti, anche quelli giudiziari, desta non poche perplessità. Intanto per il verificarsi di alcune casualità. La puntata di Report, registrata oltre un mese fa, ma che va in onda a ventiquattro ore dalla visita degli ispettori antifrode dell’Unione Europea (Olaf).
Il presidente della Regione siciliana, Rosario Crocetta, che conosce gli uffici lobbistici dell’Unione europea, che dichiara di staccare la spina al settore bloccando i flussi finanziari a tutti quegli Enti le cui proprietà o gli organi amministrativi presentano collegamenti parentelari con parlamentari. Ed ancora l’Autorità di gestione del Fondo sociale europeo (Fse) che emana frettolosamente un provvedimento dirigenziale che assume la portata di una vera e propria contro-riforma nel giorno dell’inizio della ispezione dell’Olaf.
Ora, però, facciamo un passo indietro. Con l’avvento di Ludovico Albert a capo del dipartimento Istruzione e Formazione professionale, esperto in quota Pd, di circa due anni fa (e silurato da Crocetta un mese fa), il sistema è stato aperto, attraverso il bando dell’Avviso 20/2011, alle società di capitali. Chiude il sistema fondato sul rapporto fiduciario che legava la Regione siciliana agli Enti formativi, cosiddetti “strumentali”, attraverso la legge regionale n.24 del 6 marzo 1976, per mezzo della Sovvenzione.
Le società di capitali decidono di investire nella formazione professionale con operazioni di compravendita di decine e decine di Enti formativi, determinando una concentrazione nelle mani di pochi di unimmensa quantità di ore formative. Che in Sicilia con l’Avviso 20/2011 significa una cosa sola: un fiume di denaro fresco e con rischio impresa zero. Notoriamente, chi investe non lo fa per puro edonismo, ma per un preciso fine: l’utile, il profitto ad ogni costo. Ed allora ecco spuntare la cordata imprenditoriale e politica capeggiata da Francantonio Genovese, Nino Papania, Franco Rinaldi (cognato di Genovese e marito del presidente dell’Ente Lumen) ed altri parlamentari nazionali e regionali del Partito democratico. Se facciamo qualche conto ed associamo alcuni fatti, non dovrebbe essere un azzardo potere affermare che lo tsunami abbattutosi sulla formazione professionale ha un padre: il Pd.
E’ facile però gettare su un solo ambiente politico la responsabilità dello sfascio di dimensioni epocali della formazione professionale siciliana. Sappiamo che non è così. O meglio, non è solo così. Diversi sono i partiti che hanno le mani in pasta. Come non pensare al Fli di Carmelo Briguglio con il Cufti, gestito dalla moglie, oppure al Pdl con il caso dell’Ancol gestito dalla moglie di Peppino Buzzanca, già parlamentare regionale e già Sindaco di Messina. Oppure ai tanti Enti in quota al Movimento per l’autonomia dell’ex presidente della Regione siciliana, Raffaele Lombardo. E, ancora, come dimenticare lUdc o il Cantiere Popolare.
Però tutti questi partiti messi insieme non raggiungono le dimensioni del gruppo del leader della corrente “Innovazione” del Pd, Genovese. Questultimo ha messo su un colosso, fatto, a quanto sembra, da oltre ottanta milioni di euro di finanziamento nella galassia di decine di Enti e società finanziate con l’Avviso 20/2011 a gestione principalmente parentelare.
Ma veniamo alla domanda posta all’inizio dell’articolo. Proviamo a rispondere. Pare che siamo di fronte all’evaporazione del profitto. Vediamo di capire il perché. Nell’allegato 1 al Decreto dirigenziale n.5274 dell’11 dicembre scorso la Corsello fa alcune precisazioni. L’argomento è la procedura di erogazione del secondo acconto di finanziamento a valere sull’Avviso 20/2011. Viene modificato il paragrafo 7.2.1 del Vademecum per gli operatori del Programma Operativo (Po) Fse 2007/2013, versione n.4 del 23 giugno 2011.
Nello specifico, sarà possibile ottenere un secondo anticipo, pari al 30% del finanziamento pubblico complessivo solo a seguito della presentazione della richiesta del secondo acconto, contenente la dichiarazione, a firma del legale rappresentante autenticata nei modi di legge, con allegata la Scheda di rilevazione dello stato di attuazione del progetto.
Si dovrà, inoltre, dichiarare di avere svolto almeno il 40% delle attività e di avere già speso almeno il 30% del progetto finanziato. Produrre la polizza fideiussoria pari all’importo dell’anticipazione, da presentare prima dell’emissione del mandato di pagamento, nonché la dichiarazione sostitutiva di certificazione camerale. Inoltre, per poter richiedere il pagamento del secondo anticipo sarà necessario che le spese, almeno pari al 30% del progetto, siano state effettivamente sostenute e quietanzate. Spese che dovranno essere verificate ed attestate da parte del Revisore legale attribuito al progetto ed anche dall’Unità di monitoraggio e controllo (Umc).
La cosa che più stupisce, ma c’era da aspettarselo, è che nel formulare la richiesta di secondo acconto il beneficiario del finanziamento di cui all’Avviso 20/2011, dovrà effettuare alcune precise dichiarazioni rese ai sensi e per gli effetti del Decreto del Presidente della Repubblica n. 445 del 28/12/2000 (sanzioni penali per dichiarazioni mendaci). Infatti, il legale rappresentate dell’organismo attuativo dei progetti formativi dovrà dichiarare: “di utilizzare il finanziamento ricevuto a seguito della presente richiesta, esclusivamente, per le spese relative al predetto Progetto”.
Ed allora se si dovrà dichiarare di non produrre utili, come si potranno produrre gli stessi utili, visto che le società formative sono state create solo per questo?
E qui entriamo in un campo minato, sbagliando traccia saltano non solo il piede e la gamba, ma anche tutto il resto. Proviamo ad azzardare una ipotesi. Qualcuno con una certa insistenza ha riferito che vi sono locali, principalmente nel Messinese, dotati di aule a norma, comodi uffici di segreteria e di direzione dati in affitto ad Enti formativi. E sin qui nulla di strano. La cosa che colpisce, però, è che molti, tantissimi contratti sono fuori mercato. Proprio così, pare che molti contratti prevedano affitti annuali vicini ai cinquanta mila euro per due o tre aule e un paio di stanze adibite ad uffici. Un po’ troppo, no?
Se poi – stando a indiscrezioni tutte da verificare – si pensa che chi prende in affitto i locali ed il proprietario dell’immobile appartengono allo stesso gruppo societario, allora la cosa potrebbe diventare interessante.
Insomma: è venuto il momento di tirare fuori la verità sul settore. Chi ha sbagliato i calcoli oppure ha scientificamente architettato un sistema diabolico affaristico cominci a pagare. Chi può asserire oggi che tutti sono così? Che si faccia pulizia e si lasci lavorare chi è in regola e con sacrifici ha finora operato nel rispetto delle leggi.
Intanto, dopo aver incontrato l’assessore regionale Istruzione e Formazione professionale, Nelli Scilabra e la Corsello, i due funzionari dell’Ufficio antifrode dell’Ue hanno dichiarato di avere le idee chiare su cosa cercare. Vedremo gli sviluppi. Il governo regionale, intanto, ha un ingrato compito: quello di mettere in sicurezza 10 mila lavoratori che hanno la sola colpa di essersi prestati al politico di turno, al sindacalista di turno, al potente di turno per ottenere il favore di un posto di lavoro dignitoso in una terra avara di industrie e di imprenditori. Si faccia luce ma si salvi la dignità degli operatori perbene
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