Prosegue da oltre cinque mesi, senza interruzioni, la protesta degli operai dei Cantieri Navali di Palermo contro la «cancellazione della pausa mensa». L’intervallo di trenta minuti destinato al pasto dei lavoratori, secondo l’azienda, non è stato soppresso ma soltanto «spostato a fine turno» in seguito a un accordo nazionale – siglato a febbraio -, tra la direzione e sindacati per «una sperimentazione» che, in un primo momento, avrebbe interessato solo gli operai saldatori e carpentieri dell’area produttiva Osa A del cantiere palermitano. Il nuovo orario sperimentale prevede la possibilità di effettuare una pausa di soli 10 minuti, mentre il break si svolge alla fine delle 7,5 ore, al di fuori dell’orario di lavoro, con il pagamento di un ticket restaurant in sostituzione del pasto.
Un esperimento che ai 25 lavoratori palermitani, però, non è piaciuto creando non pochi mal di pancia, visto che fin dal primo momento hanno protestato dichiarando uno sciopero di mezz’ora esattamente 30 minuti prima della fine del turno. «Il nuovo orario prevede 7.30 ore anziché 8 e ora, la pausa per il pasto che prima era un diritto acquisito dei lavoratori, è stata spostata alla fine – afferma Francesco Foti della segreteria Fiom Cgil Palermo – Ma gli operai sono stanchi e accaldati, indossano tute che possono pesare anche 15 chili e le temperature con questo caldo in officina superano non di rado i 40 gradi e toccano punte di 50. Non si comprende che è una questione di sicurezza poter staccare per riprendere le forze. Appare inammissibile – ribadisce – che non si conceda a questi operai un break anche in considerazione del lavoro altamente usurante che affrontano ogni giorno».
L’azienda ha giustificato l’introduzione della fase sperimentale nello stabilimento palermitano con «la necessità di poter recuperare produttività in un’area che ad oggi è caratterizzata dai peggiori indici di stabilimento. In accordo con tutte le sigle sindacali e in linea con quanto già in vigore in altri cantieri del gruppo, è stato siglato il 23 febbraio scorso un verbale di esame congiunto (tra la direzione di stabilimento e rsu di stabilimento) che, come previsto dal contratto integrativo del giugno 2016, prevedeva una nuovo orario». Ma la Fiom ha sin da subito «ritenuto insufficiente la pausa dei 10 minuti, dichiarando uno sciopero di mezz’ora che si sta protraendo da fine febbraio e la cui adesione, inizialmente molto bassa, è andata via via diminuendo con la partecipazione di circa 5 persone su un organico di 25 risorse interessate da questo tipo di provvedimento».
In realtà, pure sulle cifre c’è divergenza tra l’azienda e le organizzazioni dei lavoratori per il quali «sui numeri si gioca sempre, perché l’adesione allo sciopero e ben più alta e sfiora il 60 per cento degli operati coinvolti dal provvedimento. Fin dal primo giorno abbiamo chiesto delle pause più lunghe per le mansioni più pesanti e, soprattutto, un luogo adatto dove consumare un pasto. Ma l‘azienda non ha voluto ascoltarci e più di una volta ci ha risposto che ‘chi vuole può mangiare a fine turno’: forse sono convinti che facendo così si recupera efficienza e produttività, ma è vero il contrario».
Anche su questo, le posizioni si discostano: secondo Fincantieri, infatti, nei giorni successivi alla firma del verbale non sarebbe stata presentata all’azienda «alcuna richiesta di riesame, ragion per cui lo sciopero non solo risulta essere pretestuoso e strumentale, ma rappresenta anche una palese inosservanza della procedura di raffreddamento», proprio al fine di trovare eventuali soluzioni condivise. «Si sottolinea, infine, che da qualche settimana lo stesso orario è stato esteso anche all’officina navale dello stabilimento, dopo un ulteriore esame congiunto non sottoscritto dalla Fiom. In questa officina – conclude l’azienda – non sono stati proclamati scioperi e l’orario viene applicato senza problemi di sorta».
Ancora una volta, i sindacati puntualizzano che si tratta di casi non confrontabili perché «in quella officina i lavoratori svolgono una mansione diversa» e, ad ogni modo, più volte sarebbe stato richiesto un incontro al capo del personale e al direttore dello stabilimento di Palermo, ma senza esito: «Purtroppo – prosegue Foti -, le scelte organizzative di questa direzione locale hanno provocato un abbassamento della efficienza e della produttività dello stabilimento stesso, è questa è l’ennesima dimostrazione. Abbiamo chiesto diverse volte la direzione nazionale di Fincantieri di intervenire perché ormai – conclude – abbiamo sospeso il dialogo con quella locale».
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