È solo un antipasto, nulla di più. Domani sarà il giorno del debutto della Finanziaria, che ha ricevuto finalmente l’ok da parte della commissione Bilancio ed è pronta a passare la prova dell’Aula. Un’accelerata, si dice tra i corridoi e le scale di palazzo, dovuta anche alle recenti polemiche sullo stop dell’Assemblea in occasione di un concerto con Katia Ricciarelli in calendario a palazzo dei Normanni. Si tratterà tuttavia del pacchetto che contiene soltanto le norme generali, tutto il resto finirà in maniera strategica all’interno di un maxiemendamento che conterrà tutte le proposte dei vari partiti di maggioranza e opposizione e che verrà votato in unico blocco. È in quest’ultimo che saranno i capitoli più spinosi e le eventuali elargizioni a enti e fondazioni, le famigerate mancette, che per un momento è davvero sembrato dovessero sparire dopo il caso Auteri. Ancora nessuno conosce per intero il contenuto del maxi, ma ogni fazione politica da par suo è pronta a spergiurare che si tratterà soltanto di interventi orizzontali, non locali, equi e soprattutto a enti e fondazioni consolidate, note, attive nel campo della cultura, del sociale e dell’antimafia.
E se della Finanziaria che verrà discussa si conoscono bene o male cifre e misure, i numeri sono un punto interrogativo per quanto riguarda le proposte del maxiemendamento, che appunto saranno visionate e discusse in Aula, anche per evitare che in commissione le contestazioni sulle coperture dei vari capitoli dilatassero i tempi di presentazione del documento finanziario. Strategia che non ha stupito nessuno in sala d’Ercole e ha trovato la critica del solo Ismaele Lavardera, gruppo misto, che ha già preannunciato che il maxi non avrà suoi contributi: «Se si vuole ascoltare le iniziative delle opposizioni non va fatto all’interno di un maxiemendamento ma votando ogni singola proposta che si ritiene di buonsenso». Dice il deputato ex Sud chiama Nord.
Altro punto di discussione, stavolta persino a tratti feroce, come raccontato da chi ha preso parte alla lunga seduta di commissione Bilancio che ha portato all’approvazione del testo, la volontà da parte del governo di mettere in piedi l’Agenzia per gli investimenti, nata già monca a causa di un emendamento del Movimento 5 stelle che ne ha di fatto abolito il consiglio di amministrazione, nomine invece sperate soprattutto dall’assessore all’Economia Alessandro Dagnino, uno degli sponsor dell’Agenzia, che nasce con la volontà di essere uno strumento di rilancio del territorio, ma che secondo l’opposizione sarebbe «un altro carrozzone, con tanto di poltrone da assegnare, e non si capisce con quale utilità», per usare le parole di Nuccio Di Paola, deputato del Movimento 5 stelle. Movimento che appunto si è pronunciato contro l’Agenzia anche al voto in commissione, che ha visto astenersi i membri del gruppo Scn e addirittura uscire dall’aula quelli del Partito democratico, con cui si sono verificati gli scontri più accesi. Se ne riparlerà in sala d’Ercole.
Dato per scontato l’ormai consueto appello di Renato Schifani al «senso di responsabilità delle opposizioni», il resto prevede, tra le altre cose, le altrettanto consuete stabilizzazioni di un’altra piccola fetta di personale Asu, novità per i Forestali, nuova liquidità per il contrasto al caro voli e contributi per la ricerca di pozzi. Il taglio più grande arrivato in commissione, invece, ha riguardato le tabelle accessorie alla manovra, è lì che alla fine di un interminabile lunedì si è giunti all’accordo per la sforbiciata netta di più di 300 emendamenti.
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