«È stato sicuramente un risultato apprezzabile, per la prima volta in Italia viene riconosciuta l’invalidità a una persona affetta da questa malattia. Una vittoria che ci auguriamo faccia scuola, anche se è bene non creare illusioni: ogni caso va valutato singolarmente. Ciò che è assurdo è che in Italia, nonostante i gravissimi effetti, i pazienti siano trattati come malati di serie B». A commentare il successo di una battaglia legale, che per la prima volta ottiene il riconoscimento di disabilità per una persona affetta da fibromialgia, è l’avvocata palermitana Angela Fasano, l’artefice di questo risultato. Nei mesi scorsi, infatti, nei confronti della sua assistita, una 50enne artigiana di Castelbuono, il tribunale di Termini Imerese ha adottato con provvedimento del 25 maggio del 2017 il riconoscimento della riduzione della capacità lavorativa con diritto alla corresponsione della pensione di invalidità.
Fasano – che ha curato il caso per conto della Cna e che da circa tre mesi offre consulenza gratuita e segue 50 casi analoghi – non nasconde la soddisfazione per questo risultato, soprattutto nel nostro Paese dove la fibromialgia è riconosciuta dal ministero della Salute, ma non nei suoi effetti invalidanti. Si tratta, purtroppo, di una malattia di difficile diagnosi, poli-sintomatica, invalidante e debilitante, per la quale non esiste ad oggi una cura ma solo terapie contro il dolore come quella che prevede l’assunzione di cannabis terapeutica, dai costi però elevati. E il sistema sanitario nazionale, ad esclusione di alcune regioni, non riconosce esenzioni di alcun tipo.
«Si tratta di una malattia difficile da diagnosticare con un iter molto complicato», ribadisce l’avvocata ricostruendo il caso dell’artigiana di Castelbuono che, per via di dolori lancinanti alle mani, non poteva più esercitare la professione: «Tramite il Caf del patronato, la mia cliente ha presentato domanda per ottenere il riconoscimento di invalidità, con esito negativo. Dunque, abbiamo impugnato il verbale sanitario con un accertamento tecnico preventivo e abbiamo chiesto al giudice la nomina di un consulente tecnico d’ufficio, allegando la nostra documentazione medica». Durante il dibattimento, si è riusciti così a dimostrare il gravissimo stato di invalidità della donna, anche supportati dalla normativa comunitaria che tutela le persone affette da fibromialgia.
«Riteniamo sia una grave ingiustizia che in Europa alcuni paesi – come la Francia e il Belgio – riconoscano gli effetti debilitanti della fibromialgia. Persino l’Organizzazione mondiale della Sanità ha ammesso la portata invalidante della malattia, mentre in Italia questo aspetto manca, non c’è ancora un riconoscimento legale. Per questo riteniamo che in Italia ci sia una violazione della normativa europea a tutela del malato e il nostro stato legittima queste palese disparita di trattamento, anche in violazione dell’articolo tre della Costituzione». Da qui l’idea di presentare una petizione all’Europa: «Assieme alle associazioni nazionali dei malati, chiederemo di intervenire su questo delicato tema al Parlamento europeo e, contestualmente, faremo istanza alla Commissione europea per l’apertura di una procedura di infrazione contro il nostro Stato per violazione delle direttive comunitarie».
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