Fava, l’eredità del giornalista ucciso dalla mafia 38 anni fa Don Ciotti: «Soldi del fondo giustizia per i beni confiscati»

«Ricordiamo Pippo Fava lavorando». È questo il titolo dell’evento organizzato da I Siciliani giovani per ricordare il giornalista ucciso dalla mafia, proprio nel giorno del 38esimo anniversario dell’omicidio. Un assemblea organizzata al Giardino di Scidà – il bene confiscato in via Randazzo a Catania dove adesso c’è la loro sede – e anche online con ospite don Luigi Ciotti, il fondatore di Libera e del Gruppo Abele. «I soldi dei mafiosi a chi lavora» è stato lo slogan che ha accompagnato l’impegno di tutti gli attivisti e le attiviste. E proprio per ricollegarsi a questo, don Ciotti è partito dalla legge Rognoni-La Torre del 1982 (che introdusse per la prima volta nel codice penale il reato di associazione mafiosa) e della volontà di Pio La Torre di «sottrarre il denaro sporco ai mafiosi». 

«Giuseppe Fava resta nelle nostre azioni concrete – ha detto a MeridioNews Giovanni Caruso de I Siciliani – Dalle inchieste sui beni confiscati alla carovana Le scarpe dell’antimafia che abbiamo fatto in giro per la Sicilia durante la quale sono venute fuori le mancanze delle istituzioni e le fatiche di chi li gestisce». Situazioni che in molti casi si sono rivelate anche paradossali. «Adesso – aggiunge Caruso -, quello che chiediamo è che dal fondo giustizia arrivino i soldi per aiutare le cooperative sociali e le associazioni che si occupano di beni confiscati». Circa un miliardo di euro che ogni anno viene confiscato ai mafiosi e che potrebbe essere investito per sostenere chi lavora per dare nuova vita e restituire alla collettività case, ville, terreni e aziende che sono state il simbolo del potere criminale.

Un passo avanti dopo la legge Rognoni-La Torre che ha rappresentato il primo atto di Libera, associazioni, nomi e numeri contro le mafie. «Nel 1995 – ha ricordato don Ciotti – abbiamo portato avanti una petizione con cui abbiamo raccolto un milione di firme per incrementare il sogno di Pio La torre e arrivare all’uso sociale dei beni dopo la confisca. Già allora – ha aggiunto – chiedevamo che le stesse misure fossero previste non solo per i mafiosi ma anche per i corrotti. E già allora chiedevamo che una parte del fondo giustizia fosse destinato per il risarcimento ai familiari delle vittime, per i testimoni di giustizia e per i beni confiscati che hanno bisogno di supporto per ripartire». 

Marta Silvestre

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