È il 2 dicembre 1968. La città di Avola si è mobilitata per dare risalto allo sciopero dei braccianti agricoli aderenti alle tre maggiori organizzazioni sindacali (Cgil, Cisl e Uil). Scuole, banche e uffici hanno le saracinesche abbassate per sostenere le lotte, «per chiedere che i salari della zona sud siano equiparati con quelli della zona nord della provincia di Siracusa», spiega a MeridioNews Elia Li Gioi – professore, artista, ed ex sindaco di Avola durante la primavera degli anni ’90 – che quei giorni li ha vissuti. A quei tempi, difatti, i lavoratori di Avola percepivano salari più bassi rispetto, per esempio, a quelli di Lentini. «Perché la provincia di Siracusa – come descrive in un editoriale dell’otto dicembre 1968 il giornalista Mauro De Mauro – è divisa in due zone: la zona a, che comprende i braccianti di Lentini, Carlentini e Francofonte, in cui la paga giornaliera è di 3480 lire; e la zona b, con Siracusa e i restanti comuni della provincia, in cui la paga è di 3110 lire».
Studenti in corteo e numerosi cittadini raggiungono la strada statale 115, bloccata dai braccianti con le pietre. «C’ero anch’io, facevo parte di un gruppo parrocchiale. Quarantotto anni fa, nelle famiglie, contava molto il contributo economico degli uomini – racconta il professore -. E ad Avola c’era una numerosa presenza bracciantile. Più di quattromila uomini lavoravano le terre, la nostra economia era basata sull’agricoltura. Ricordo ancora quella voglia di riscattarsi negli occhi degli operai agricoli, che volevano migliorare la propria condizione di vita rivendicando dei diritti elementari, ma che non venivano garantiti». Gli agricoltori cominciavano a prendere coscienza della situazione di emarginazione in cui vivevano e anche nei quartieri meno curati si cominciavano a sollevare delle piccole ribellioni volte a ottenere servizi essenziali come acqua e fognature. Ma qualcosa, quel giorno, non va come da programma: la polizia giunge sul luogo per rimuovere i blocchi. Con i lacrimogeni. «Gli operai per difendersi lanciavano le pietre», ricorda Li Gioi.
La repressione provoca due morti, Giuseppe Scibilia e Angelo Sigona, di 47 e 29 anni, entrambi braccianti originari di Cassibile. «Gli hanno sparato poliziotti appartenenti al battaglione mobile di Siracusa, con armi diverse: dai mitra corti in dotazione agli agenti alle pistole usate dai sottufficiali, ufficiali e funzionari di pubblica sicurezza», si legge nell’articolo di De Mauro, che due anni sarebbe stato rapito da Cosa nostra. Sul campo di battaglia vengono raccolti due chili di bossoli, che hanno ferito 48 persone, riducendone in fin di vita quattro. Come un uomo che, secondo alcune testimonianze dell’epoca, viene trovato con tredici pallottole conficcate nel ventre. «L’indomani in paese si urlava “hanno sparato, hanno sparato”, così si creò una sorta di movimento popolare, composto principalmente da donne che sulla 115 cercavano i mariti e i figli», aggiunge Li Gioi.
I fatti di Avola sono stati ricordati questa mattina dai segretari di Cgil, Cisl e Uil, insieme ai rappresentanti delle istituzioni. Sono state deposte due corone di fiori in memoria di Scibilia e Sigona, una sulla statale 115, l’altra all’interno del palazzo comunale. «Bisognerebbe fare di più per mantenere viva la memoria. Di quella tragica giornata se ne parla sui libri e anche gli studenti universitari ne fanno argomento delle proprie tesi, ma non basta. Ricordo che dalle lotte bracciantili del ’68 è nato lo statuto dei lavoratori», conclude Li Gioi, che ha proposto la creazione di un museo della memoria sui fatti di Avola.
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