Dovrà tornare in Procura a Palermo. Ma stavolta da indagata. Giusy Occhionero, ex deputata di Leu passata a Italia Viva, ha ricevuto questo pomeriggio un avviso di garanzia e un invito a comparire dai pm che l’accusano di falso in concorso. Avrebbe fatto passare il Radicale, Antonello Nicosia, fino ad allora conosciuto solo telefonicamente, per suo assistente parlamentare, consentendogli di entrare con lei nelle carceri senza autorizzazione. Nicosia è stato arrestato con la pesantissima accusa di associazione mafiosa insieme al boss di Sciacca Accursio Dimino, ed è accusato di avere sfruttato le proprie relazioni politiche per fare gli interessi degli esponenti di Cosa nostra.
Per i magistrati solo in un secondo momento, dopo tre ispezioni in istituti di pena siciliani, Occhionero e Nicosia avrebbero formalizzato il rapporto di collaborazione. I due si erano conosciuti tramite i Radicali Italiani. Il 21 dicembre, dopo aver avuto con Nicosia solo contatti telefonici, la deputata sarebbe arrivata a Palermo e avrebbe incontrato Nicosia con cui è andata immediatamente a fare un’ispezione al carcere Pagliarelli. All’ingresso Nicosia sarebbe stato presentato come un suo collaboratore: circostanza, hanno accertato i pm anche attraverso indagini alla Camera, falsa. All’epoca, infatti nessun rapporto di lavoro era stato formalizzato. Il giorno successivo i due hanno fatto, con le stesse modalità, visite nelle carceri di Agrigento e Sciacca. Ai pm che l’hanno sentita come persona informata sui fatti, la donna ha detto di non aver avuto contezza della doppia personalità di Nicosia, formalmente paladino dei diritti dei carcerati, di fatto uomo d’onore che portava all’esterno i messaggi dei boss.
Ma le spiegazioni della deputata non hanno convinto i pm che hanno accertato che tra la Occhionero e Nicosia c’era anche una relazione sentimentale. «Ma perché dobbiamo spiegare chi sono, scusami, perché dobbiamo sempre mescolare la stessa merda», diceva Nicosia, non sapendo di essere intercettato, e criticando la scelta di intitolare l’aeroporto di Palermo ai magistrati Falcone e Borsellino. Parlando di Falcone, Nicosia aveva detto: «Che poi diciamo che è morto in un incidente sul lavoro e quando è stato ammazzato manco magistrato era. Aveva già un incarico politico». Parlava da uomo d’onore Nicosia. E temeva le intercettazioni. Perciò le conversazioni delicate le aveva in auto noleggiate. Nonostante le cautele adottate, però, l’esponente di Radicali Italiani non è riuscito a evitare le orecchie degli inquirenti.
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