Europee 2019, intervista a Elia Torrisi (+Europa) «Rivedere fondi europei. Non sono buste di soldi»

Praticante consulente del lavoro appassionato di politica. Elia Torrisi, 25 anni, è il più giovane candidato del collegio Isole alle prossime Europee. Nella vita di tutti i giorni si occupa di consulenza a piccole imprese e no-profit per la gestione di progetti di innovazione sociale. Nato a Catania ma residente a Giarre, ha studiato Economia e scienze sociali all’università Bocconi di Milano. Uno dei traguardi raggiunti è anche la specializzazione in Politiche europee e internazionali alla Cattolica. Torrisi però continua a stare sui libri e si è iscritto all’università di Catania, frequentando il corso di Internazionalizzazione delle relazioni commerciali. Prima della sfida di +Europa la militanza nel Partito democratico culminata nella candidatura alle Regionali 2017 a sostegno dell’ex rettore dell’università di Palermo Fabrizio Micari. 501 preferenze, il suo bottino finale.

Perché Elia Torrisi ha deciso di candidarsi?
«Non è sicuramente un percorso improvvisato. Mi sono interessato di politica fin da bambino. Elezioni europee perché, forse per via della mia specializzazione, vedo una sorta di referendum sull’Europa. O sì o no. Oggi, con il caso Brexit, siamo ancora in un limbo rispetto all’integrazione europea e forse anche il Regno Unito ha capito che non è cosi semplice smantellare tutto. Ho vissuto una dimensione europea studiando a Milano: le nostre città, siciliane e sarde che sono tutte città di mare, devono diventare il centro di un’Europa mediterranea. Che è un discorso che non si realizza domani. Il mio impegno vuole guardare ai prossimi dieci anni, giusto perché l’Africa, anche per ragioni demografiche, acquisirà ancora più centralità nel panorama mondiale. E noi saremo in una posizione privilegiata in questo spostamento dell’Europa verso Sud».

Che idea si è fatto del fenomeno migratorio dall’Africa? In questi anni si è parlato tanto di ripartizione di migranti e revisione del trattato di Dublino.
«Finché sono gli Stati a fare politica estera prevale “il prima Io”, che è lo slogan dei sovranisti, e alla fine significa che vince il più forte. L’Italia non è in una posizione privilegiata anche perché più esposta geograficamente. C’è bisogno di una politica estera comune, con gli Stati che devono cedere sovranità a un parlamento europeo che acquisisca sempre più centralità. Questo ci aiuterebbe a superare tanti problemi». 

Però lo slogan “aiutiamoli a casa loro” sembra essere molto apprezzato.
«Queste forze politiche in realtà non lo fanno e si tirano indietro. Non si può esportare la democrazia con l’elmetto e il carro armato. Quello che si può fare è aiutare i Paesi dell’Africa a svilupparsi con percorsi sostenibili ed equilibrati senza impronte neo coloniali. Non si possono frenare le masse di persone che scappano dalle guerre. C’è anche il tema dei rifugiati climatici, cioè chi scappa per alcune condizioni particolari come la siccità. Non possiamo mettere un muro nel Mediterraneo, la mobilità è un valore e noi siciliani lo sappiamo benissimo, infatti ci sono tante persone che dalla nostra terra si spostano in cerca di fortuna altrove. Non si possono mettere barriere in un mondo globalizzato. L’idea che noi sosteniamo è quella di finanziare la cooperazione internazionale allo sviluppo, anche in questo senso il nostro ministero degli Esteri ha cambiato il suo nome e si chiama ministero degli Affari esteri e della cooperazione internazionale». 

Uno dei temi su cui lei punta forte è quello dei fondi europei. Può spiegare meglio la sua idea in materia?
«Nascono come contribuito aggiuntivo alle sovvenzioni del proprio Paese ma spesso sono diventati gli unici a disposizione negli Enti locali. Negli anni ci sono state clientele e polverizzazione degli interventi, perché conviene fare dieci piccoli interventi anziché uno. La Regione diventa, più che uno strumento per essere vicina ai cittadini, una sorta di ostacolo. Essere siciliano è un’ostacolo rispetto a un lombardo: se la tua Regione è efficiente ed efficace puoi beneficiare delle spese sul territorio. Ma se sei come noi, cittadino di una Regione non efficiente e non efficace, i fondi non vengono spesi e tornano indietro. L’idea è quella di centralizzare l’allocazione delle risorse affinché ci sia un uguale trattamento per tutti i cittadini d’Italia». 

Com’è questa campagna elettorale? Noi siamo la periferia d’Europa, inutile negarlo. 
«Il tema più sentito è quello del lavoro. Emerge sempre nel confronto con i cittadini e con gli imprenditori o agricoltori. Questo è il tema centrale. Il problema è che c’è stata una politica che usa l’Europa come capro espiatorio, che illude la gente che i fondi europei siano borse piene di soldi per sovvenzionare gli investimenti. Abbiamo un’idea predatoria dei fondi europei. L’idea centrale dovrebbe essere quelle di fondi europei e ambiente. A Rimini abbiamo oltre due milioni di persone in estate e hanno fatto un grande piano di salvaguardia della balneazione. Finanziato prevalentemente dall’Europa e per il 30 per cento dal Comune, con un impianto che prende l’acqua, la depura e la rimette in mare. Questo è un esempio di utilizzo intelligente di fondi europei. Noi invece polverizziamo i fondi con piccoli interventi. Spesso a mancare è anche la cultura d’impresa, nonostante ci siano tanti giovani che si scommettono e vogliono lavorare in Sicilia. Si chiede il lavoro ma spesso si dimentica che per arrivarci ci sono delle condizioni intermedie: che devono rendere chi lo chiede autonomo e indipendente». 

Nel suo passato c’è la militanza nel Partito democratico e una candidatura alle Regionali. Cosa le resta di quella esperienza e perché ha cambiato?
«Sono stato iscritto al Pd per sette anni, ma in Lombardia. Ci tengo a precisarlo. Si tratta di un grande partito, ma con una segreteria e una classe dirigente del passato che cerca solo di continuare a esistere. A un certo punto è successo che nuovi movimenti sono emersi – rappresentando i giovani – e in questo senso +Europa non ha strutture novecentesche come il Pd. Questo aiuta la politica dei giovani e così ho trovato idee condivise con la possibilità di esprimere proposte e fare squadra. Cosa che nel partito precedente non riuscivo a trovare. Mi restano rapporti umani e di stima ma bisogna sapere distinguere tra questi e tutto il resto». 

Dario De Luca

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