Etna Nord, difficile equilibrio tra fruizione e tutela Caputo: «Manca un unico organismo che decida»

Nonostante l’inaugurazione della scorsa settimana, non si spegne il coro delle polemiche per le nuove escursioni su gomma da piano Provenzana a 3000 metri. Ai dubbi sul bando del Comune di Linguaglossa per le licenze, approvato solo fino a 2400 metri – seppur con una clausola aperta per eventuali definizioni al di sopra o al di sotto di quel limite -, si aggiunge la lotta contro il tempo per una stagione turistica già iniziata sulla carta ma ancora sprovvista di un’offerta reale. Non solo per i limiti della ricostruzione successiva all’eruzione del 2002 – che ha lasciato il punto base di Etna nord sprovvisto di strutture ricettive e della maggior parte dei comfort per i viaggiatori – ma anche per l’iter autorizzativo del nuovo trasporto su gomma e per l’attesa di nuovi mezzi – realmente capaci di gestire le alte quote – previsti in consegna solo per la primavera del 2022. Adesso, a fare da sfondo, si aggiungono le lamentele di quanti accusano gli enti pubblici di non pensare all’ambiente. Commenti dettati in parte da una sincera – e forse ingenua – preoccupazione, ma che spesso ironizzano sul divieto di raggiungere la vetta con mezzi privati per preservare l’ecosistema del vulcano. È il caso dei motociclisti, che da tempo hanno ingaggiato una lotta col Parco dell’Etna. Ente che torna spesso protagonista delle polemiche, pur nella limitazione dei suoi poteri, come spiega il presidente Carlo Caputo.

Partiamo dalla fine. Alla notizia delle nuove escursioni su gomma anche da Etna nord, i commentatori online si sono concentrati per lo più sull’aspetto ambientale. Come si coniuga con la fruizione turistica?
«Ci si meraviglia in ritardo… Il trasporto dei visitatori con le jeep o i furgoncini esiste da più di 35 anni, cioè da prima dell’esistenza del Parco stesso come ente pubblico, nel 1987. Poi è stato sospeso per alcuni anni, a seguito di una direttiva dell’Antitrust che imponeva di gestire il servizio con un avviso pubblico e non in regime del monopolio. Nessuna novità, insomma. Da sempre, il regolamento del Parco dell’Etna vieta il passaggio di mezzi in aerea protetta ma prevede la possibilità di un servizio pubblico, con numeri contingentati e caratteristiche precise».

Come accade da Etna Sud, ad esempio. Perché secondo lei quel versante non desta scalpore e anzi è, al momento, un modello per lo sviluppo turistico della zona?
«Etna Sud fa il doppio delle presenze di Etna nord. È vero che lì, dove c’è la funivia, siamo in zona C (una zona di pre-parco a sviluppo controllato, ndr), mentre sul versante Nord, nella strada per salire a quota 3000, si trovano le zone di maggiore tutela, la zona A e i Siti di Interesse Comunitario che impongono meno pressione turistica. Per questo, trovare il giusto equilibrio tra tutela e sviluppo è davvero complesso, ma è impossibile pensare di chiudere l’Etna».

A proposito, il vulcano è già chiuso alla fruizione di turisti e cittadini in occasione degli eventi eruttivi. Anche questa, una scelta che in passato ha fatto molto discutere. Davvero non è possibile trovare un metodo diverso, magari con un sistema di prenotazioni e accessi contingentati come si fa sul Teide, a Tenerife, per esempio?
«Sarebbe un’ottima soluzione. Ma il problema, che poi è il vero problema dell’Etna, è che manca un unico ente pubblico che si occupi del vulcano. Al momento, abbiamo una molteplicità di enti che si dividono responsabilità e che si dovrebbero mettere insieme per una decisione del genere: oltre a noi, ci sono l’Ingv, la protezione civile e 13 Comuni proprietari delle aree sommitali che emettono le ordinanze sulla base delle indicazioni della prefettura. Un po’ come per la chiusura delle scuole con l’allerta meteo. Ma secondo lei, ogni Comune ha un vulcanologo che possa decidere se sia sicuro far fermare i visitatori a 1900 o a 2500 metri? Si va avanti per prassi».

Cosa può fare il Parco dell’Etna?
«Il Parco non ha competenza in aspetti di sicurezza a seguito delle eruzioni. Noi interveniamo semmai dopo, nel caso in cui si debba ricostruire qualcosa e per la tutela e la salvaguardia ambientale. Da poco abbiamo inserito sul sito un’area con le ordinanze di tutti i Comuni. Poca cosa, lo sappiamo, ma prima andavano ricercate singolarmente per capire fin dove si potesse arrivare. L’Etna, insomma, ha bisogno di una authority, c’è troppa frammentazione».

A proposito di ricostruzione: a Piano Provenzana dovrebbero partire le escursioni su gomma – sul perché del condizionale ci torno tra poco -, ma c’è chi lamenta la presenza di soli quattro bagni chimici ad accogliere i turisti. Servono bar, ristoranti… Difficile così fare accoglienza, non crede?
«Io so che nel piano di ricostruzione del 2002 erano previsti dei servizi, che vanno costruiti e va capito anche come finanziarli. So anche che Linguaglossa ha messo al bando dei terreni per costruire delle strutture alberghiere. Il Parco su questo non può fare molto, solo collaborare a definire come e dove farli e autorizzarli».

Può insomma dire se preferisce i bagni in legno e non in plastica…
«Se vogliamo dirlo così…».

A proposito delle escursioni, risulta che nonostante l’inaugurazione del 9 giugno il servizio non sia ancora partito e pare manchi una firma proprio dal Parco. Come mai? E che ne pensa del travagliato iter appena trascorso?
«Le singole aziende titolari di licenza ci hanno trasferito la richiesta di autorizzazione, che va rilasciata ditta per ditta, con il singolo mezzo indicato. Le stiamo firmando in questi giorni: ogni autorizzazione ha un singolo percorso definito con tanto di cartina e ogni mezzo è geolocalizzato per verificare il rispetto del percorso e il numero di viaggi possibili da bando. Sul resto, ritengo che i due Comuni abbiano raggiunto la maturità per capire che quella strada non è solo loro o delle comunità locali, ma del mondo. È di tutti i turisti e cittadini del mondo. Avere due versanti, Etna Sud e Nord, per noi è positivo per evitare un’eccessiva pressione turistica su una singola area, ma si deve ragionare da comunità, perché solo così le cose riescono bene. I protagonismi, invece, sull’Etna non fanno bene. Mai».

Claudia Campese

Giornalista Professionista dal 2011.

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