Etna, l’agronomo Vigo sulla processionaria «Parco agisca anche su burocrazia e fruibilità»

«I boschi dell’Etna stanno morendo di processionaria, che è anche un rischio per chi ci va a passeggiare. Il Parco che fa? Qualcuno pensa di intervenire?». Così Flaminia Belfiore, nota giornalista etnea, scrive sul suo profilo Facebook personale, di ritorno da una gita in montagna in zona Salto del cane, sopra Nicolosi, dove proprio due giorni fa è stato inaugurato un rifugio. Un problema, quello del pericoloso lepidottero, che si ripropone ogni anno, ma rimasto finora senza soluzione. Presto, sulla bacheca della cronista, si susseguono i commenti. Tra cui un cittadino che ricorda come Corrado Vigo, presidente dell’ordine degli Agronomi di Sicilia, abbia provato ad affrontare il tema con l’istituzione di tutela del parco dell’Etna, ma senza successo. «È vero, ho chiesto circa un anno fa un incontro alla presidente Marisa Mazzaglia – conferma Vigo a MeridioNews – L’avevamo anche fissato, ma poi è stato annullato e non ne ho saputo più nulla. Ho incontrato la presidente alla costituzione del biodistretto dell’Etna e mi è sembrata particolarmente interessata, ma non mi ha ancora richiamato». Temi dell’incontro, almeno nelle aspettative dell’agronomo, anche «la fruibilità dell’Etna, l’istituzione di percorsi turistici e naturalistici, e lo snellimento delle pratiche degli agricoltori della zona».

Per quanto riguarda la processionaria, i mesi tra aprile e ottobre sono solitamente i più pericolosi. È in questo periodo che, complici le temperature più alte, le larve del lepidottero scendono dagli alberi – dopo averne provocato spesso una estesa perdita di foglie -, si interrano e si riproducono. In questa fase, si può rischiare di venire a contatto con i peli urticanti, un rischio per gli uomini ma, soprattutto, per gli animali. «È un problema serissimo – spiega Vigo – Vanno raccolti e trattati tutti i nidi. Se non iniziamo adesso, andremo avanti così all’infinito». Ma ogni anno il vero problema sembra essere sempre la manodopera da impiegare. «Penso che potrebbero farlo gli operai della forestale quando non hanno un grande lavoro, come in estate», propone il presidente dell’ordine degli agronomi. Anticipando una delle idee che metterebbe sul piatto in un eventuale incontro con il parco dell’Etna.

Ma a preoccupare Vigo è anche la situazione degli agricoltori i cui terreni ricadono all’interno del parco. «Per fare un intervento, è necessario presentare un nulla osta ed è giusto così – afferma – ma gli operatori del settore mi riferiscono che questi documenti hanno un tempo di emissione notevole». Anche di parecchi mesi. Per questo il presidente degli agronomi chiede lo «snellimento nella tempistica burocratica». «È vero che il parco va tutelato, ma lo stesso vale anche per le sue produzioni – continua – Se il parco diventa una costrizione negativa, finirà per spopolarsi». Tra uva non raccolta, mele che restano sugli alberi e raccolti rovinati dalle volpi. Problema, quest’ultimo, che passa sempre dall’ente di tutela dell’Etna, ma senza responsabilità diretta. «Gli agricoltori dovrebbero ricevere un risarcimento per i danni causati dalla fauna, lo prevede il regolamento del Parco che fino a qualche tempo fa lo ha erogato – spiega Vigo – Adesso, però, è la Regione siciliana che non manda più i fondi». In generale, continua l’agronomo, sarebbe «da rivedere anche la perimetrazione delle zone con vincolo assoluto».

Tra i punti di questo possibile futuro incontro, c’è poi la fruibilità della montagna. «Ci sono un sacco di zone senza percorsi o in cui per fermarsi nei rifugi vanno chiesti specifici permessi – commenta Vigo – In Trentino invece si entra in questi percorsi naturalistici e ci sono baite dove basta fermarsi ed entrare. Certo, lì c’è sicuramente una civiltà e non c’è chi depreda o vandalizza come invece spesso succede qui, ma bisogna studiare un modo per rendere tutto più fruibile altrimenti non ce ne facciamo niente». Basti pensare, secondo il presidente, ai soldi utilizzati per risistemare alcune casermette. Che poi restano chiuse e vandalizzate. «Quando piuttosto si potrebbe cercare di coinvolgere anche i ragazzi delle scuole, che avrebbero molto da imparare dalla vita in montagna».

Claudia Campese

Giornalista Professionista dal 2011.

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