Etna: il Salto del Cane dopo l’incendio Come ricavare energia dagli scarti vegetali

«Un danno al bosco che non va oltre al 10 per cento», questa è la valutazione a freddo di Paolo Longo ispettore superiore forestale del distaccamento di Nicolosi, riguardo all’incendio dei giorni 13 e 14 maggio scorsi, sviluppatosi nell’area a sud del Salto del Cane sull’Etna, interessando i boschi di contrada Cava e Monte Pizzillo, ricadenti in territorio del Comune di Pedara.

Siamo andati insieme a loro, ai forestali – con l’ispettore Longo, c’era l’assistente capo Salvo Laudani -, che passo dopo passo hanno instancabilmente perimetrato l’incendio, riportando le coordinate gps su mappa e alla fine totalizzando un superficie complessiva di circa 21 ettari. «Siamo in grave ritardo, quest’anno, sull’organizzazione antincendio», dichiara Luca Ferlito comandante del nucleo operativo, «ma come sempre facciamo il nostro dovere fino in fondo».

«Sono soltanto boschi di castagni di giovane età, non meno di 8 anni – continua Longo. Meno male, perché il castagno rigetta; se invece fossero stati alberi resinosi sempreverdi come i pini, sarebbe stato grave e irreparabile. Ma a questa quota e in quest’area, di pini non c’è neanche l’ombra. Si è avuta la fortuna che l’incidente sia avvenuto in un periodo antecedente alla prima gittata, così che i germogli sono partiti e il ciclo di vita non si è interrotto, anche se rallentato». Cioè? «Probabilmente quest’autunno gli alberi non faranno frutti, anche per l’attacco del cinipide che sta devastando interi castagneti, ma questo è un altro discorso».

 

ùCamminiamo lungo una rete di sentieri e carrate ben tenuta dai lignamari (i boscaioli, ndr), che serve loro per scendere verso valle con i loro piccoli camion carichi di tronchi. Attraverso passaggi in cui si vede l’attenta opera di questi lignamari, con berme di contenimento per tentare di livellare il pendio ed evitare quanto più possibile l’azione erosiva dell’acqua di corrivazione, arriviamo a una zona di ordinate cataste di grossi tronchi. «Dovrebbero essere così curati tutti i castagneti dell’Etna – dice Longo. Con sentieri livellati e agibili carrate d’accesso, almeno con mezzi fuoristrada leggeri». La traduzione è questa, senza bisogno di fare altre domande: sono terreni privati. I castagneti dell’Etna sono quasi totalmente proprietà privata, in cui la cura e la raccolta sono uguali a quelle di un altro frutteto qualsiasi. Entrare nei castagneti in autunno e raccogliere castagne è lo stesso tipo di reato di un furto di mele, per intenderci.

Tornando all’incendio di maggio, «il fumo era visibile anche da Catania, perché ha bruciato il sottobosco ricco di un notevole spessore di fogliame secco» – conclude Longo. Non ci sono elementi precisi che fanno pensare a un atto intenzionale, e l’opinione comune anche di esperti boscaioli è che si sia trattato di un incidente, probabilmente consumatosi nel corso delle settimane precedenti. Quando per la pulizia si raccolgono i rami, si bruciano sul posto per evitare i costi di trasporto, e poi quel che resta si copre con la terra. «Ma la brace può covare di sotto e mantenersi viva fino a un mese dopo», come sostiene Orazio Cavallaro, noto boscaiolo e uno degli ultimi mastri carbonai. «Poi una o due giornate di vento asciutto, possono innescare l’incendio. E’ messo in conto, succede».

Sull’utilizzo del materiale di scarto vegetale, Salvo Romeo, esperto naturalista e agronomo ha la sua idea che lancia alle istituzioni del territorio: «Anziché smaltirlo con costi aggiuntivi o rischiare gli incendi, possiamo produrre energia elettrica e calore, basta guardare i fondi europei del Psr e del Fesr della prossima programmazione 2014/2020. Le energie rinnovabili e in modo particolare le biomasse sono una delle gambe del nuovo documento Psr di programmazione, già illustrato a marzo scorso per impianti di piccole e medie dimensioni (200-300 kilowatt massimo, ndr) da Legacoop e Enel Green Power. I castagneti dell’Etna si presterebbero benissimo a questo progetto, se incentivato e fatto conoscere ai singoli proprietari che potrebbero unirsi in una cooperativa. Pensate a un paese come Trecastagni che avrebbe un notevole risparmio sui costi della bolletta della luce pubblica, semplicemente con gli scarti dei castagneti».                                   

Sergio Mangiameli

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