Etna, il patrimonio Unesco e le speculazioni Rizzo: «Massacrato dai suoi stupidi abitanti»

Oggi mi permetto di usare questo spazio per parlare della mia terra. Lo faccio partendo una volta tanto da una buona notizia. L’Etna, il vulcano sul quale sono cresciuto e dove da sempre ha abitato la mia famiglia, il luogo dove ancora ho casa, è diventato patrimonio dell’Unesco. Un riconoscimento che segue quello attribuito alla Val di Noto, al barocco del meraviglioso centro storico di Catania e alle Isole Eolie. Una splendida notizia che riempie di gioia, ma che non può non portare ad una semplice banale riflessione. Quanto ce lo meritiamo questo riconoscimento? Di certo lo meritano la bellezza dei luoghi, la perfezione urbanistica lasciataci dagli architetti dei Viceré di Spagna che hanno riedificato la Sicilia orientale dopo il terrificante terremoto del 1693. Ma noi, i siciliani di oggi, quanto meritiamo che la nostra terra venga insignita di tale titolo?

La terra non è avulsa infatti dai suoi abitanti. Prendiamo l’Etna ad esempio. Oggi è una terra ferita dalla scelleratezza umana. Non dalla grande speculazione, attenzione. Qui la responsabilità è diffusa. Non sono state le imprese mafiose, i Cavalieri dell’Apocalisse. No, a massacrare il vulcano è stata la società civile, la gente normale: i commercianti arricchiti, i professionisti rapaci, i professori di scuola o gli impiegati che incassavano la liquidazione e si costruivano la seconda casa, i sensali, i geometri, i muratori divenuti impresari e poi, a volte, persino amministratori dei Comuni. L’ignoranza crassa, l’ottusità, il miserabile interesse individuale e, sopratutto, la stupidità.

Tra la seconda metà degli anni ’60 e la fine degli anni ’80 del secolo trascorso si è consumato uno scempio. È cresciuto un bubbone di cemento e asfalto che ha mangiato i centri storici dei meravigliosi piccoli comuni della fascia pedemontana etnea. Oggi di uno straordinario patrimonio urbanististico e architettonico non resta quasi nulla, giusto alcuni piccoli pezzi di centro storico, una decina di ville padronali, miracolosamente salvati in luoghi che hanno nomi gentili come Viagrande, Pedara, Trecastagni. Luoghi dove aveva attecchito un barocco povero, ma elegante.

Il centro storico di Nicolosi, il mio paese, ad esempio era così. Lo distrussero in pochi mesi quando io ero bambino. Al posto delle case basse, del vecchio municipio, costruirono un’orribile piazza in cemento che fortunatamente la pietà degli alberi ha col tempo in parte mascherato e la ridicola imitazione di un grattacielo. Un tozzo condominio che illudeva l’ignoranza di aver conquistato chissà quale modernità. Lo confesso, sono cresciuto sperando che un terremoto distruttivo lo abbattesse. Oggi i nuovi amministratori stanno cercando un disperato recupero, ma l’opera è tanto meritoria, quanto difficile.

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[Foto di Antonio Parrinello]

Redazione

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