Condanne ridotte in Appello per sei persone e una settima assolta. È l’ultimo aggiornamento sulle operazioni antimafia Onda d’urto e Reset contro presunti esponenti del clan Toscano-Mazzaglia-Tomasello. I blitz sono stati portati a termine dai carabinieri della compagnia di Paternò: gli indagati sono accusati di estorsione nei confronti dei titolari di due agenzie di pompe funebri nel territorio di Biancavilla. Rispetto alle condanne che erano state inflitte dalla giudice per l’udienza preliminare Giuliana Sammartino, il 23 ottobre 2017 i giudici della seconda sezione penale della corte d’Appello di Catania hanno ammorbidito la posizione degli imputati.
La pubblica accusa, rappresentata dal procuratore generale Antonino Nicastro, aveva chiesto la conferma delle pene di primo grado con rito abbreviato. Nel dettaglio, in Appello Alfio Ambrogio Monforte è stato condannato a otto anni, dieci mesi e venti giorni di carcere (e 8534 euro di multa), contro di dieci anni, otto mesi e diecimila euro di multa del primo grado. Il figlio Vincenzo è stato condannato a sei anni e a una multa di seimila euro, mentre in primo grado la pena era stata uguale a quella del padre. Entrambi sono stati assolti «perché il fatto non sussiste» dall’accusa di tentata estorsione riferita al blitz Onda d’urto.
In Appello, Fabio Amoroso è stato condannato a cinque anni e due mesi di reclusione (e 4600 euro di multa); Gregorio Gangi a cinque anni e sei mesi, e cinquemila euro di multa; Vincenzo Panebianco a sei anni, quattro mesi e 6400 euro di multa; Carmelo Vercoco a sei anni e seimila euro di multa. Nel giudizio di primo grado, Fabio Amoroso e Gregorio Gangi erano stati condannati a otto anni di carcere e al pagamento di una multa di seimila euro ciascuno. Mentre Vincenzo Panebianco era stato considerato colpevole con una pena di nove anni e sei mesi di carcere, oltre che una multa di diecimila euro. Carmelo Vercoco, infine, era stato condannato a otto anni e ottomila euro di multa.
Assolto dall’accusa di illecita concorrenza con minacce o violenza, con la formula per la quale «il fatto non sussiste», Alfio Muscia, che in primo grado era stato condannato a una pena di sei anni. Nei suoi confronti, però, la sentenza dispone l’invio degli atti alla procura affinché possa valutare nuove indagini a suo carico per il reato di associazione mafiosa. Entro novanta giorni saranno depositate le motivazioni che hanno portato la corte d’Appello a quest’ultima sentenza.
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