Disastro colposo e omicidio colposo plurimo. Erano queste le accuse con cui la procura etnea aveva indagato il caposquadra dei vigili del fuoco di Catania, Marcello Tavormina, intervenuto la sera del 20 marzo scorso per l’esplosione avvenuta in via Garibaldi a Catania. A perdere la vita nella deflagrazione erano stati i due vigili del fuoco, Dario Ambiamonte e Giorgio Grammatico, e Giuseppe Longo, il titolare di un deposito di biciclette allestito all’interno della bottega, di cui poi è stata ritrovata una lettera che ne ha confermato i propositi suicidiari. Tesi confermata anche dalle tre bombole portate fuori dall’officina dai soccorritori la sera stessa dell’esplosione. Accogliendo la richiesta inoltrata dalla procura, il giudice per le indagini preliminari del tribunale di Catania ha disposto l’archiviazione del procedimento iscritto nei confronti di Tavormina che, nel corso delle operazioni, rimase ferito insieme al collega Giuseppe Cannavò.
Sono le 19.25, quando la squadra dei pompieri viene inviata in via Garibaldi, all’altezza del civico 335, per una possibile fuga di gas proveniente da una bottega al pianterreno. Mentre i vigili tentano di entrare da uno degli ingressi, parte la deflagrazione. Alcuni organi di stampa cominciano a diffondere la notizia – subito smentita dai pompieri e rivelatasi falsa – che i vigili del fuoco avrebbero utilizzato un flex per tentare di aprirsi un varco nella saracinesca che era stata chiusa dall’interno con un lucchetto. Tre le ipotesi, messe in campo in un primo momento per spiegare l’innesco che ha provocato la deflagrazione, l’uso di un attrezzo da parte di uno dei soccorritori, un’iniziativa volontaria del gestore della bottega o un evento accidentale.
A occuparsi delle indagini sono state la squadra mobile e la polizia scientifica. Coinvolto anche il titolare della cattedra di Chimica industriale e tecnologia dell’Università La Sapienza di Roma, al quale è stato conferito l’incarico di accertare le cause dell’esplosione. Le verifiche hanno permesso di riscontrare che è stata
innescata dall’interno dei locali e che le iniziative assunte dai vigili del fuoco non hanno influito in alcun modo. «Risulta pertanto accertato che i vigili del fuoco, in una situazione di
elevatissimo rischio – scrive la procura etnea – hanno agito nel
risoluto tentativo di trarre in salvo l’uomo
barricatosi all’interno della bottega, rimanendo vittime incolpevoli di un’esplosione
dagli stessi non provocata, in quanto il decesso è conseguito al
violento impatto con
la pesante porta di ingresso di via Garibaldi, che li investiva con devastante forza
d’urto dopo essersi staccata dai cardini per effetto dell’esplosione».
«Il caposquadra Tavormina, che è stato prosciolto da ogni accusa, è ancora segnato dalla non facile e dolorosissima esperienza – scrivono in una nota i suoi avvocati difensori, Dalila Alati e Davide Tutino – Vuole manifestare un cenno di riconoscenza verso tutti coloro i quali nello sviluppo della vicenda hanno mostrato, nelle forme più varie e nel massimo rispetto del ruolo di ciascuno, la propria vicinanza e affetto».
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