Erasmo Palazzotto dalla Alex alla rinuncia dell’immunità «Faremo di Salvini il più grande finanziatore delle Ong»

Palermitano, classe 1982, al secondo mandato da deputato nazionale, prima nelle file di Liberi e Uguali, adesso in Sinistra Italiana. Erasmo Palazzotto è stato il capomissione a bordo della Alex, il veliero di Mediterranea, in mare a inizio luglio per monitorare la situazione tra Lampedusa e la Libia in attesa che le navi delle Ong tornassero a navigare. La Alex ha salvato 59 persone, tra cui una bambina, Fatima, di appena 5 mesi. Tanto il comandante, quanto il capomissione, finiranno adesso sotto processo. Ma Palazzotto rivendica la sua scelta al punto da rinunciare all’immunità parlamentare.

Rientrato da qualche giorno dalla Alex, cosa le resta di quei giorni in mare?
«La dignità e il coraggio delle persone che abbiamo salvato. Le loro storie fatte di resilienza. Tutte le donne erano state stuprate, gli uomini torturati, i bambini venduti come schiavi. Ognuno di loro però conservava nonostante tutto la voglia di ricominciare, il coraggio di vivere ancora. E poi la vergogna, la mia vergogna nel dovergli spiegare perché eravamo tutti alla deriva su una barca di 18 metri, spiegargli che per la civilissima Europa loro erano il pericolo, mentre gli aguzzini in divisa da cui scappavano erano i nostri amici. Questo me lo porterò dietro per molto tempo».

Intanto, però, finirete sotto processo. 
«Sembra un paradosso, ma è così: io e Tommy, il comandante, saremo processati per aver salvato 59 persone. Provate un attimo a riflettere a pensare a quanto sia assurdo tutto questo». 

Lei avrebbe potuto godere dell’immunità parlamentare.
«Sono salito a bordo della Alex da volontario di Mediterranea, non solo nella mia veste di parlamentare, per questo ho deciso di rinunciare alle mie prerogative. Non vedo perché dovrei lasciare solo a Tommy l’onere di affrontare le conseguenze delle nostre azioni. E poi l’immunità è uno strumento importante di tutela dell’equilibrio tra i poteri dello Stato, non bisogna mai abusarne per scappare dai processi come ha fatto il ministro dell’Interno. Io rivendico e difendo la scelta di avere salvato 59 vite e lo farò anche davanti ai giudici. Sono sicuro di avere agito nel rispetto della legge e della nostra Costituzione e ho piena fiducia nella giustizia».

Sui social è partita una campagna d’odio significativa nei suoi confronti.
«La maggior parte delle schifezze che sono state scritte provengono da profili falsi. C’è una grande macchina dell’odio pagata coi soldi dei cittadini e organizzata direttamente dal Ministro dell’Interno che serve a intimidire le persone e ad alimentare un clima di violenza di cui pagheremo presto le conseguenze. Denuncerò tutti coloro che hanno pubblicato o prodotto contenuti diffamatori. A partire dal ministro Salvini che ci ha chiamati trafficanti. I soldi dei risarcimenti andranno a Mediterranea, penso che compreremo una nuova nave. Riusciremo a far diventare Salvini il più grande finanziatore delle Ong».

Ma oltre i leoni da tastiera, ha dovuto fare i conti anche col fuoco amico. È il caso dell’ex direttore della Fondazione Federico II, Francesco Forgione, che sui social ha detto: «Scegliere come capo missione un parlamentare fa solo il gioco (facile facile) di Salvini». Cosa risponde?
«Risponderei facilmente che in questo momento ho cose più importanti di cui preoccuparmi. Ma non posso non vedere come purtroppo non tutti riescano a capire la straordinarietà di un’esperienza come Mediterranea. Non siamo una ONG, siamo una piattaforma che mette insieme realtà diverse che vanno ben oltre il recinto angusto della sinistra. Io di Mediterranea sono uno dei promotori, un volontario e in questo ultimo anno mi sono formato per fare anche il capomissione. Magari il prossimo dopo di me sarà un prete o un migrante. La sinistra purtroppo in questi anni ha perso la capacità di essere là dove le cose succedevano e con questa anche quella di capirle. Io tra fare un seminario e sporcarmi le mani per mettere una nave in mare e salvare 59 vite umane non ho dubbi su cosa sia più utile».

Sul molo di Lampedusa si è detto pronto a ripartire anche in pedalò. Al di là delle battute, quanto è determinante che il soccorso venga affrontato con le attrezzature adeguate? Quali sono state le difficoltà maggiori a bordo della Alex?
«Quella della Alex doveva essere una missione di monitoraggio in supporto alle navi di Open Arms e Alan Kurdi. Purtroppo siamo stati costretti dalla situazione ad agire per evitare che quelle persone morissero o fossero rimandate in Libia. Le altre navi erano troppo lontane e il rischio che quel gommone si ribaltasse era troppo alto. Abbiano fatto quello che credo chiunque altro avrebbe fatto al posto nostro, ma abbiamo rischiato molto. Al di là delle battute sui pedalò nessuno dovrebbe mai trovarsi nella situazione in cui ci siamo trovati noi. In mare dovrebbe esserci un dispositivo di salvataggio europeo con assetti navali governativi sicuramente più attrezzati delle ong. Mare Nostrum era questo, è un dolore oggi vedere gli uomini della nostra Guardia Costiera e della nostra Marina, che hanno salvato centinaia di migliaia di esseri umani, ridotti a fare i sorveglianti dei confini. Sono gente di mare, conoscono le leggi che da millenni sono state valide nel Mediterraneo e sanno che quello che sta accadendo è immorale».

In molti si sono appellati al fatto che la Alex non si sia diretta verso Malta. Vuole spiegare ancora una volta com’è andata?
«Abbiamo dato da subito la nostra disponibilità a portare le persone salvate a Malta, anche se non era il porto sicuro più vicino come prevede la legge. Il fatto che fosse stato assegnato un porto era una importante novità nel quadro attuale dei soccorsi in mare. E poi avremmo volentieri risparmiato l’inutile sofferenza di restare più di 50 ore in mare a quelle persone che avevano bisogno di essere assistite. Ma non eravamo in grado di navigare fino a Malta, con 70 persone a bordo una barca a vela di 18 metri non ha le condizioni minime di sicurezza per percorrere quella distanza. Per questo abbiamo chiesto subito che ci fossero inviato i soccorsi da Lampedusa o da Malta per trasbordare le persone, avevamo comunicato anche la disponibilità di Open Arms a prendere a bordo le persone salvate e portarle fino a Malta. Ma ci è stata negata l’autorizzazione sia da Malta che dall’Italia perché l’obiettivo era quello di fare arrivare la Alex a La Valletta dove c’era un accordo col Governo per sequestrarla e arrestare l’equipaggio. Per ottenere questo avrebbero messo a rischio la vita di tutte le persone a bordo. Un atteggiamento irresponsabile e pericoloso. Nonostante questo, ci eravamo offerti di trovare delle soluzioni, ma non ci hanno nemmeno rifornito di acqua per i serbatoi e le condizioni a bordo erano divenute insostenibili, per questo siamo stati costretti a forzare il blocco. Illegale era tenere ancora quelle persone in condizioni così precarie a poche miglia da un approdo sicuro».

Sul molo di Lampedusa, così come su quello di Catania nei giorni della Diciotti, le differenze partitiche si sono assottigliate. Oggi ci può essere una nuova intesa col Pd su questi temi?
«Quella sui migranti è una battaglia di civiltà, non si può permettere che si consumi un nuovo olocausto sulla pelle di queste persone. Ci sono mille questioni su cui è giusto che la politica si divida, ma ci devono essere anche valori che ci uniscono oltre ogni differenza. Quello del rispetto per la vita umana e la sua dignità non è un valore di destra o di sinistra, sono pronto su questo a discutere con chiunque, figuriamoci se non sono disposto a farlo col Pd».

Miriam Di Peri

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