Enrico Colajanni in sciopero della fame da 15 giorni «Grave rischio di scoraggiare i cittadini a denunciare»

Prosegue a oltranza lo sciopero della fame di Enrico Colajannigesto estremo per protestare contro la decisione della prefettura di Palermo di depennare la sua associazione antiracket, Libero Futuro, dall’albo prefettizio. Uno sciopero iniziato già due settimane fa e al quale si aggiunge oggi l’idea di creare una petizione e raccogliere le firme necessarie affinché la battaglia di Colajanni diventi una battaglia corale, di tutti. Ma contro che cosa? «Va garantita la dignità di chi ha fatto questo percorso di denuncia della mafia, perché domani altri questa scelta non la faranno se vedono che le conseguenze sono queste». Il rischio, insomma, è che quanto rappresentato da questa spinta dal basso dimostrata dalla nascita spontanea, negli anni, di associazioni di cittadini che si sono voluti impegnare nella lotta a Cosa nostra venga vanificata dall’azione incontrollata di certi strumenti. Fra tutti, anche quello delle interdittive antimafia, che secondo Colajanni andrebbero impiegate seguendo criteri precisi, ben definiti, e non sulla base di meri sospetti. Quelli che avrebbero portato, ad esempio, all’esclusione della sua associazione dall’elenco della prefettura palermitana.

«Con motivazioni risibili la prefettura di Palermo e quella di Trapani hanno cancellato quattro associazioni che hanno operato in questi dieci anni anche in territori difficili, da Partinico a Castelvetrano, assistendo moltissime vittime tra le quali nessuna ha procedimenti penali in corso. Per citare il caso più grave, penso ai Virga di Marineo – spiega Colajanni -, due mesi prima che l’ex presidente delle Misure di prevenzione Silavana Saguto gli sequestrasse il patrimonio, avevano avuto l’ok per accedere al fondo di solidarietà da quel tribunale dove per cinque volte erano andati a denunciare i mafiosi. A testimoniare per le loro denunce sono andati marescialli e poliziotti. Ma intanto sono stati messi in ginocchio, le loro aziende sono boccheggianti, forse gli saranno restituite come gli altri. A ruota sono state colpite associazioni dal curriculum come il nostro». Un curriculum che non sembra avere alcuna macchia. Malgrado le motivazioni che hanno spinto la prefettura alla decisione oggi tanto contestata, secondo cui l’associazione di Colajanni sarebbe rea di aver seguito e sostenuto imprenditori dal passato non illibato e, addirittura, di essere stati coinvolti in interessi paramafiosi. Sospetti infamanti, a detta del presidente di Libero Futuro e di chi conosce il suo impegno.

E che lo hanno ribadito questa mattina al bar Oriol di via Ausonia, dove Colajanni ha fornito aggiornamenti sul suo stato di salute, lanciando appunto anche l’idea della petizione. «Ci ritroviamo qui perché Libero Futuro è stata cacciata dalla sua sede, che era un bene confiscato, forse non ne eravamo più degni – spiega -. Il problema, però, non è solo banalmente delle associazioni. Ma di questi istituti, dalle misure di prevenzione alle interdittive prefettizie, adoperato come si fosse in uno stato di polizia. C’è una sentenza del Cga siciliano, la massima autorità amministrativa, contro un’interdittiva della prefettura agrigentina, che smonta il provvedimento dal punto di vista giuridico e conclude che se si segue questo metodo si emula il sistema medievale dell’inquisizione, in cui si agiva così per fare fuori i nemici». Forte, quindi, l’allarme lanciato da Colajanni, che parla di una recrudescenza degli strumenti antimafia che rischia di produrre «errori spaventosi». «Venderemo cara la pelle pur di non buttare all’aria il lavoro fatto negli anni. Questa protesta, che seguirò con prudenza, ha questo senso – conclude -. Un’amica dall’India ha iniziato a sua volta questa notte uno sciopero della fame in segno di solidarietà verso la mia denuncia. Dopo le feste proporremo una staffetta, per agire sul fronte della sensibilizzazione e della partecipazione a questa battaglia che è di tutti».

Tanti gli amici che questa mattina si sono ritrovati attorno a Enrico Colajanni, per raccogliere la sua proposta e ribadire la condivisione totale della sua lotta. «Lo Stato di polizia dev’essere un’altra cosa perché se io critico un’associazione al punto tale da escluderla e non riconoscerla – dice Alberto -, ci sarà un profilo penale, no? Che qualche giudice dovrebbe iniziare a prendere in considerazione. Ma non c’è nulla di tutto ciò, quindi parliamo di nulla, di un procedimento che sfugge a qualcosa di concreto. Non oso pensare che il prefetto abbia agito in malafede, ma può avere sbagliato. Chi giudica l’errore? Sono d’accordo con l’idea che vada riformato questo strumento e vada chiarito come procedere e quali strumenti adottare. Altrimenti non avremo più associazioni antiracket fatte da cittadini. Se doovesse continuare tutto a funzionare cos come oggi e io domani mattina dovessi trovarmi in difficoltà, non ci metterei mano, “facciano quello che vogliono”, penserei. Ed è gravissimo». Come Colajanni, quindi, sono in molti quelli che auspicano a una discussione seria e concreta finalizzata a un uso meno arbitrario e quindi più efficace di strumenti come le interdittive. Accolta con entusiasmo, infine, anche la notizia che nelle prossime settimane il presidente di Libero Futuro sarà ascoltato dalla Commissione parlamentare antimafia. «Un modo per ribadire che i cittadini devono essere coinvolti nella lotta alla mafia – conclude Alberto -, perché se siamo soli allora non abbiamo speranze, se non lo siamo giustizia può essere fatta».

Silvia Buffa

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