Elezioni e mafia, i detenuti non hanno votato

In Sicilia alle elezioni regionali ha votato il 47%, un dato che non ha eguali nei 65 anni di storia dell’Autonomia regionale. Per la prima volta la maggioranza non ha scelto e la minoranza ha deciso. Questo è il gioco della democrazia ma anche un tragico sintomo. Si vota per interesse, convinzione, passione, rabbia, voglia di conservare i privilegi, oppure insopprimibile bisogno di cambiare.

Ma c’è una comunità che ha rifiutato di votare. Sono i reclusi siciliani. Dei 7200 detenuti solo 46 hanno votato. Lo scorso maggio per le elezioni palermitane stessa astensione e il rincorrersi delle ipotesi più disparate. Oggi il fenomeno riguarda l’intera isola.

Il dato va comunque affinato ma non per questo è meno grave. Gli aventi diritto al voto, di solito detenuti in attesa di giudizio, sono circa il 40% quindi 3000 persone. E  la legge prevede un’esplicita richiesta da parte di chi vuol votare.  Ma l’1,5% è come se il diritto non esistesse e si fosse estinto.

Possibile che l’intera comunità reclusa, e avente diritto, si privi di questa opportunità? E’ successo che interi paesi abbiano ripudiato le urne, alcuni hanno perfino bruciato le schede elettorali, ma il rifiuto dei detenuti non si accompagna a nessuna motivazione e questo inquieta ancora di più.

 

Due le ipotesi sul  terreno. I detenuti non hanno più fiducia nel processo decisionale e lo manifestano attraverso la fuoriuscita dai meccanismi elettorali. Si espellono da soli, anzitempo, ancora prima che l’eventuale sentenza sfavorevole li privi dei diritti politici. Oppure ricevono una proposta che non si può rifiutare che li spinge a soprassedere, a starsene al chiuso delle proprie celle senza rivelare, attraverso il voto, preferenze per le varie forze politiche.

Nel passato i voti nelle carceri siciliane, e palermitane in particolare, sono stati monitorati come prove di laboratorio. Costituivano un test privilegiato sui gradimenti politici della popolazione detenuta. Si riusciva a capire equilibri e a intuire spostamenti che altri indicatori non avevano monitorato.

 

La mafia ha imparato a servirsi dei riti di chi la combatte. Non teme le parole ma i fatti. Alle parole si può plaudire, alle manifestazioni partecipare. E più si alza il clamore meno si reclamano e si esigono comportamenti che incidono sugli interessi mafiosi.

 

Forse il non voto nelle carceri risponde all’esigenza di inabissarsi, non fornire utili segnali a chi la combatte  e proteggere i nuovi, imprevedibili, riferimenti politici.

Aldo Penna

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