Elezioni Catania, Caserta scende in campo «Alla città servono coraggio e giustizia»

Economista, 53 anni compiuti da pochi giorni, insegna per lavoro al dipartimento di Economia dell’università di Catania e come volontario al doposcuola del centro Talità Kum, a Librino. Un matrimonio contratto all’estero perché in Italia non si può, spesso protagonista senza apparire di battaglie civili. Come quella per l’informazione libera a Catania, che ha contribuito alla diffusione della pagina regionale del quotidiano La Repubblica anche nel capoluogo etneo, bloccata per trent’anni da un accordo con il direttore-editore del maggiore quotidiano cittadino La Sicilia. Di Maurizio Caserta colpiscono i toni pacati ma fermi. «L’ufficialità si avrà solo quando si presenteranno le liste», dice, ma ormai è pubblica la sua intenzione di candidarsi a sindaco di Catania alle elezioni comunali del prossimo anno. Un progetto politico e civile che ha intenzione di costruire con una squadra e con i cittadini, anche attraverso momenti di incontro e scambio di idee come la passeggiata dalla stazione al porto etnei di domenica scorsa.

Domenica ha implicitamente annunciato la sua discesa in campo alle prossime elezioni comunali. Perché?
Si rischia di dare risposte retoriche, come la passione, l’amore per la città, la voglia di scommettere. Probabilmente tutte queste cose insieme. Certo, se si fanno dei calcoli, questi non dovrebbero portare mai all’impegno pubblico perché è gravoso. Ma pensiamo alle quattro virtù: la prudenza è il “Mi conviene?” e probabilmente no, poi ci sono però il coraggio, la giustizia e la temperanza che è il tentativo di far funzionare le cose in maniera buona per tutti. Questi elementi possono spiegare una spinta all’azione, che dev’essere di tutti per un rilancio della comunità.

Ha già fatto capire che il suo progetto politico si andrà costruendo insieme ai cittadini. Ma quali sono i temi che non possono mancare?
Di sicuro restituire ai cittadini l’opportunità di avere lavoro. Tutti i percorsi di rilancio sono inutili se non si rimette in moto il meccanismo economico degli scambi, che è inceppato. L’amministrazione non è l’unica ad avere responsabilità ma deve necessariamente contribuire alla soluzione. Non perché il Comune assume più lavoratori ma perché, indirettamente, con una fornitura di servizi più adeguata, può avere effetti benefici e incentivare sempre più iniziative d’impresa. Un meccanismo virtuoso che si autoalimenta, ma che ha bisogno di una spinta forte.

Quali saranno le strategie sue e della sua squadra per coinvolgere e comunicare con i catanesi?
La manifestazione pubblica per strada, il web, le classiche conferenze ci vogliono ma non bastano. Io credo che occorra uno sforzo, anche di un singolo, perché si torni al coraggio di cui parlavamo prima, virtù ormai poco frequentata ma che può sviluppare un meccanismo di emulazione: se io vedo che tanta gente si comporta in un modo virtuoso, potrei riconoscere che quel modo è il migliore. Basta un esempio credibile. E non sono d’accordo con chi dice che i tratti culturali di questa terra sono duri a morire. Certo, siamo poco rispettosi delle regole e poco fiduciosi, ma non è vero che non si può cambiare. Anche in tempi molto brevi.

Comunicare a Catania, specie attraverso l’informazione, è un tema spinoso. Il neo governatore Rosario Crocetta è stato attaccato per le sue paginate elettorali sul quotidiano La Sicilia. Lei lo farebbe?
Oggi, rispetto a dieci anni fa, c’è un grado di concorrenza un po’ più forte nell’informazione. Grazie al proliferare di piccole testate nessuno può più nascondere una notizia, anche se da qui ad avere un quadro dell’editoria regionale soddisfacente, ovviamente, ne corre. Per quanto mi riguarda di pagine a pagamento non se ne parla nemmeno, non abbiamo queste risorse e poi non credo che si diventi sindaco di Catania perché si passa da La Sicilia. Il mondo è complesso nonostante gli aggregati di potere. Io andrò comunque dappertutto a parlare di questo progetto perché sono convinto che, se parli il linguaggio della verità e della chiarezza, tutti gli strumenti sono utili. Ma non sufficienti a costruire un pensiero collettivo.

Cosa serve?
Occasioni come quella di domenica, di partecipazione e discussione, che poi si integrano con la comunicazione per un pensiero coordinato e coraggioso. Oggi c’è una sensibilità nuova all’intervento diretto e le istituzioni nazionali e locali non bastano più. Sono solo la sintesi estrema della volontà collettiva, che è molto più ampia e variegata. Dobbiamo raccogliere questa voglia di partecipazione e far sì che venga incanalata in azione perché, oggi, non è più possibile rinviare.

Con quali alleati politici pensa sia possibile rendere azione questo progetto?
Io ho una storia politica breve ma che è sempre stata all’interno del centro sinistra, un’area che oggi è tutta da rifare. Non mi sento di andare a proteggermi sotto a un ombrello, non mi basta. So quali sono i miei riferimenti culturali e politici e vorrei partecipare a costruirne un altro di ombrello. Sono convinto però che, quando si parla di rilancio della città, sia una stupidaggine colossale dire “Io con quello non ci parlo perché ha militato nell’Mpa”. Noi stiamo cominciando a definire questo movimento e a condividere una proposta politica chiara, poi andremo sul mercato politico e inizieremo una discussione franca sopra al tavolo, e non sotto, con chi sarà interessato.

Che giudizio dà sull’attuale amministrazione di Raffele Stancanelli?
Il mio primo giudizio l’ho dato subito, al suo arrivo, quando si discuteva delle casse comunali. E sono stato uno dei pochi a dire pubblicamente che secondo me dichiarare il dissesto era una buona idea, anche se significava dire che molti lavoratori avrebbero perso il lavoro e altre cose impopolari. Con il sindaco ci siamo poi seduti intorno a un tavolo e abbiamo parlato. Insieme abbiamo anche lavorato per l’iniziativa degli Stati generali. Trovo che sia una persona perbene, corretta, ma è la proposta politica che incarna ad essere inadeguata.

E su un possibile ritorno di un ex primo cittadino, Enzo Bianco?
Penso che lui sia stato il miglior sindaco di Catania degli ultimi trent’anni. La sua amministrazione è riuscita a mettere in moto un processo virtuoso di partecipazione e di effervescenza culturale ed economica della città. Ma quel periodo è finito e non credo che oggi quella proposta politica possa riformularsi allo stesso modo. Sarebbe anche questa inadeguata.

Lei lavora già in una istituzione, l’università di Catania. Pensa che questa sia invece adeguata?
Le connessioni che ha con il territorio sono insoddisfacenti, su questo non c’è dubbio. L’ateneo di Catania ha sia punte di eccellenza che di cattivo funzionamento, ma ha anche una grande tradizione. Sono convinto che dovremmo essere aiutati dalla comunità nazionale e locale a far sì che torni ad essere un cuore pulsante della città, ma oggi l’effervescenza culturale non può stare solo negli atenei. Occorre che anche le intelligenze spontanee, apparentemente caotiche, contribuiscano alla produzione culturale della città che è anche produzione economica.

Lei, come il neo presidente della Regione Crocetta, non ha mai fatto mistero della sua omosessualità. Un tema personale che può diventare politico. Come si porrebbe da futuro sindaco verso i diritti civili? Sarebbe favorevole a un registro delle unioni civili, ad esempio?
Essendo omosessuale e avendo contratto matrimonio in un altro Paese sono ovviamente molto sensibile al tema. E, attenzione, lo chiamo matrimonio con una certa carica polemica, perché so che non si chiama così ma a me fa piacere farlo. Capisco comunque che l’omosessualità è un tema, tra gli altri, che porta al concetto di cittadinanza. Un nucleo essenziale di diritti che non può essere chiuso, perché non sappiamo se tra dieci anni ci saranno delle istanze oggi non prevedibili. La vita delle persone ha comunque bisogno di spazi per esprimersi, regolati e presidiati, dal settore pubblico. Come il registro delle unioni civili, ma anche le sale dei funerali non religiosi o di altre religioni. Sono temi nazionali ed europei che una realtà locale non può risolvere da sola, ma dare un segnale di apertura certamente sì.

[Foto di Maurizio Caserta]

Claudia Campese

Giornalista Professionista dal 2011.

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