EDITORIALE/ Ma l’assessore Bianchi non lo voleva più nessuno!

OGGI, ALLA SICILIA, SERVE UN GOVERNO CHE CONTESTI IL FISCAL COMPACT, OVVERO IL PRELIEVO DI UN MILIARDO DI EURO CHE ROMA, DA DUE ANNI A QUESTA PARTE, EFFETTUA OGNI ANNO SUI CONTI DELLA REGIONE. LA PRIMA COSA DA FARE E’ ESAUTORARE LO STATO DALLA GESTIONE DELLE NOSTRE IMPOSTE. E ANNUNCIARE CHE, DAL PROSSIMO ANNO, IL MILIARDO DI EURO SE LO POSSONO DIMENTICARE

Nessuno lo dirà mai, nemmeno in confessionale: ma le dimissioni dell’assessore all’Economia, Luca Bianchi, per la Sicilia, sono state una liberazione. Tutti oggi, in testa il governatore Rosario Crocetta, “ringraziano l’assessore Bianchi per il grande lavoro svolto, perché ha salvato la Sicilia dal default” e bla bla bla. Ma i primi ad essere felici sono il presidente della Regione, il PD e, a cascata, tutta la politica siciliana.

Per carità: in Sicilia non sono mai mancati gli ‘ascari’, ovvero i politici pronti a vendere la nostra Isola al migliore offerente. La storia dell’Autonomia siciliana, purtroppo, è costellata dagli ‘ascari’. Ma l’assessore Bianchi ha messo a dura prova anche i più incalliti ‘ascari’ siciliani. Con il suo ‘vento romano’ ha rischiato di far capovolgere anche le barche a vela degli ‘ascari’ isolani di provata fede ‘ascarista’. Della serie: è bonu ‘u ventu ‘nhiesa, ma no p’astutari i cannili…

Insomma: si può essere ‘ascari’: si può svendere la Sicilia e i suoi abitanti: ma non bisogna oltrepassare il limite. Anche il Governo Crocetta – costantemente ‘inginocchiato’ ora al cospetto dei militari americani del Muos, ora di fronte ai ‘banditi’ dei privati dell’acqua, ora davanti ai ‘signori dei rifiuti’ – a un certo punto ha detto: “Ragazzi, basta, non se ne può più!”.

Con molta probabilità, a fare la differenza è stato il mutuo ‘ascaro’ da quasi un miliardo di euro. Obiettivamente, sarebbe stato troppo!

Si dice in giro – ma noi non ci crediamo – che per fare scappare Bianchi si sono inventati il taglio del 50 per cento dell’indennità degli assessori regionali. Per ‘icnhiumamrne’ uno ne hanno colpiti dodici.

Agli annali si registra il ‘successo’ della legge Finanziaria 2014, la più impugnata della storia dell’Autonomia siciliana (anche il precedente presidente, Raffaele Lombardo, e l’allora assessore Gaetano Armao hanno inanellato una bella impugnativa: circa 80 articoli ‘inchiummati’: ma la ‘qualità’ dell’impugnativa ‘incassata’ dall’accoppiata Crocetta-Bianchi superà, per ‘qualità’, quella di Lombardo-Armao. Che comunque aveva il coraggio di impugnare provvedimenti anti-siciliani dinnanzi alla Corte Costituzonale).

Dopo questa ‘perfomance’, con una Regione siciliana ridotta in mutande, l’assessore Bianchi ha tentato, per la terza o quarta volta, di far passare il mutuo: quasi un miliardo di euro da far pagare in trent’anni agli ignari siciliani con Irpef e Irap alle stelle. A Roma già erano felici. La Cassa Depositi e Prestiti avrebbe prestato i soldi alla Sicilia al tasse del 5 per cento. Una pacchia.

Ma il Parlamento dell’Isola ha avuto un sussulto di dignità – può sembrare strano, ma in Sicilia, ogni tanto, succede anche questo – e l’operazione mutuo è stata bloccata.

E’ questa la motivazione per la quale l’assessore Bianchi ha smontato le tende: perché i parlamentati dell’Ars gli hanno fatto capire a chiare lettere che il mutuo ‘ascaro’ non si può fare. Di fatto, è stata la politica siciliana a mandare via l’assessore all’Economia.

Bianchi l’ha capito e ne ha preso atto. Resta invece da capire come finanziare la manovra di variazioni di Bilancio. Il vero tema è questo. Inevitabile una trattativa con Roma. A muso duro.

E’ inutile girarci attorno: il problema, oggi, è Roma. Che, da quindici anni a questa parte, con la scusa che la Sicilia è l’unica Regione italiana che si tiene tutto l’Irpef e tutta l’Iva non fa altro che penalizzarci.

Da oltre quindici anni, in Sicilia, non c’è più intervento ordinario dello Stato. Le poche opere pubbliche si realizzano – quando si realizzano – con i fondi europei. Da due anni la formazione professionale siciliana si fa solo con i fondi europei, con una palese e mai censurata violazione di legge.

Dal 2006 al 2008, in tre anni, lo Stato ha portato la quota di compartecipazione della nostra Regione alla spese sanitarie dal 42 per cento circa al 50 per cento circa. Negandoci quello che è previsto da una legge Finanziaria nazionale: il riconoscimento di una quota delle accise sulle benzine.

Non parliamo, poi, del federalismo fiscale: legge nazionale che ha ridotto drasticamente i trasferimenti nazionali ai Comuni siciliani. La legge prevede la perequazione fiscale e infrastrutturale. Che Roma ci nega.

I tre articoli dello Statuto che disciplinano i principali rapporti finanziari tra Stato e Regione non vengono applicati.

L’articolo 36 esiste solo sulla carta.

L’articolo 37 ha prodotto, quest’anno, una ridicola entrata inferiore a 50 milioni di euro. Nulla rispetto alle imposte che le imprese con stabilimenti in Sicilia e sede sociale in altre Regioni italiane dovrebbero pagare alla nostra Regione.

Diamo un solo dato per capire come veniamo derubati: quando Unicredit ha spostato la sede del Banco di Sicilia a Milano, la Regione ha perso 300 milioni di euro di imposte! Se alle banche aggiungiamo le raffinerie, le cementerie, quasi tutti i grandi stabilimenti chimici presenti in Sicilia, l’Enel ci rendiamo conto di quanto dovrebbe incassare la nostra Regione.

Invece queste imprese operano in Sicilia, inquinano il nostro mare e il nostro ambiente (è di qualche giorno fa l’incendio nello stabilimento chimico Eni di Gela, del quale non parla più nessuno), e pagano le imposte nel Nord Italia.

L’articolo 38 dello Statuto – che oggi, con l’attuale crisi econmica, se calcolato correttamente, e cioè con la differenza dei redditi da lavoro tra Sicilia e Italia – è ignorato.

In questo scenario, sempre con la scusa che ci teniamo Irpef e Iva al completo, come se lo Statuto fosse una gentile concessione e non facesse parte della Costituzione del nostro Paese, lo Stato si è preso 915 milioni di euro dal nostro Bilancio lo scorso anno e un miliardo e forse più dal Bilancio di quest’anno.

E’ inutile che ci prendiamo in giro: il Bilancio della Regione siciliana, tra ‘ascarismo’ ed esercito di precari, non è florido. Ma a farlo saltare è stato lo Stato rubandoci questi due miliardi di euro. Il resto sono minchiate.

Nessuno lo vuole ammettere, ma la Sicilia è la prima Regione italiana che rischia il default a causa del Fiscal Compact, il trattato internazionale-capestro – inserito abusivamente nella Costituzione – che impone al nostro Paese di pagare 50 miliardi all’anno per vent’anni.

L’Italia non è in condizioni di pagare una cifra del genere ogni anno. A meno che i nostri governanti non decidano di tagliare in modo selvaggio redditi e servizi ai cittadini.

Oggi mezza Sicilia è senza soldi sia per gli errori commessi con il Bilancio e la Finanziaria 2014. Ma anche – anzi soprattutto – per l’assurdo prelievo di un miliardo all’anno dalla nostra Irpef che lo Stato si trattiene.

Il mutuo per pagare i debiti è una follia proprio perché, il prossimo anno, lo Stato si prenderà un altro miliardo dalle ‘casse’ della Regione. E non si può contrarre un mutuo di un miliardo all’anno per pagare il Fiscal Compact alla signora Merkel.

Il Governo regionale deve mettere in discussione questo prelievo forzoso che lo Stato ogni anno si trattiene abusivamente, nel nome di un’Unione europea di massoni fanatici, falliti e truffadini. 

Per prima cosa, le imposte le deve riscuotere la Regione. Con una doverosa forzatura dobbiamo buttare fuori lo Stato dalla riscossione delle imposte. Così a Roma gli finisce la ‘comodità’ di tenersi il miliardo di euro dall’Irpef. E poi dobbiamo dire a chiare lettere a Roma, a Bruxelles e ai massoni fanatici e falliti dell’europeismo di ladri e banditi che il Fiscal Compact se lo devono infilare dove sanno loro: e che noi, a partire dal prossimo anno, il miliardo di euro non glielo diamo più.

Questo dovrebbe fare un Governo regionale con i coglioni. Il resto sono chiacchiere.

Redazione

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