Ebola, voli più a rischio degli sbarchi Una task force contro le malattie infettive

L’ultimo sbarco di migranti a Catania è tornato a fare notizia. Non per il numero, 243, né per le condizioni di accoglienza. Neanche per le drammatiche storie che queste persone si portano dietro. A destare allarme tra molti cittadini e lettori è stata la bandiera issata sul mercantile che li ha condotti al molo etneo, quella bianco e rossa della Liberia, il paese da dove si è propagato il virus dell’ebola e dove si registrano più morti. A chiarire ogni dubbio ci pensa Claudio Pulvirenti, funzionario del ministero della Sanità a capo della task force che gestisce l’arrivo dei migranti a Catania. «Lo Stolt Helluland, l’imbarcazione che ha prestato soccorso, si trovava da due mesi in navigazione nel mar Mediterraneo, lontano quindi dalla Liberia – spiega – . L’equipaggio non era pertanto a rischio ed era in buone condizioni di salute. Il tempo di incubazione del virus va dai tre ai 21 giorni, ecco perché consideriamo gli sbarchi che avvengono sulle coste della Sicilia non pericolosi. Sicuramente meno dei voli, dove i tempi si contraggono. E’ negli aeroporti che va prestata la massima attenzione».

Il ragionamento è semplice: visto il periodo massimo di 21 giorni entro cui il virus, se contratto, si manifesta – con sintomi quali febbre alta, emorragie, vomito, eruzioni cutanee – e considerato che il viaggio di un migrante per raggiungere la Sicilia dura in media più di un mese, chi ne fosse affetto dovrebbe certamente mostrarne i segni. Se i migranti arrivano con una nave mercantile, una volta approdata, i medici del ministero salgono a bordo e li contollano. Se il salvataggio è stato effettuato da una nave militare, questa operazione avviene già in mare e successivamente si esegue un secondo screening sulla banchina del porto in cui viene controllata la temperatura con un termometro a contatto. «Catania è un punto di eccellenza da questo punto di vista, ha un’organizzazione che non ho visto in mole altre città, grazie anche al qualificato supporto della Croce Rossa che al molo monta quattro tende per i controlli. Nel caso di soggetti dubbi – per febbre, tosse o altri sintomi – vengono trasferiti nei reparti di malattie infettive degli ospedali».

Secondo i dati di Pulvirenti, finora a Catania si sono registrati 12 casi di tubercolosi, trattati secondo la procedura appena descritta, e diversi casi di scabbia. Per quest’ultima la cura viene data direttamente al molo. «Ci siamo attrezzati con la Croce Rossa: vengono svestiti, lavati con la soluzione fisiologica, trattati con la pomata antiscabbia e dotati di nuovo abbigliamento. Fatto questo, che dovrebbe debellare la malattia al 99 per cento, possono andare insieme agli altri. Lo stesso trattamento andrebbe fatto una settimana dopo, ma spetta alle Asp. Abbiamo sollecitato più volte la Prefettura su questo punto, ma resta critico anche se qualcosa si comincia a muovere».

Lo scorso 1 luglio sulla nave Orione che stava portando 390 migranti al porto etneo, si registrò un sospetto caso di vaiolo, poi rivelatosi semplice varicella. Il sindacato di polizia Sap lanciò l’allarme. Pulvirenti era a capo delle operazioni di quel giorno. Una procedura che spiega bene come si muove la task force in queste occasioni d’emergeza. «Un migrante mostrava sintomi riconducibili al vaiolo, malattia debellata in Europa, quindi molto pericolosa – racconta – Il medico del ministero a bordo della nave militare scatta alcune foto e le invia all’ospedale Spallanzani di Roma (centro nazionale per le malattie infettive ndr). Nottetempo dalla capitale parte un elicottero con due infettivologi che scendono sulla nave e effettuano il prelievo del sangue al migrante. Quindi tornano all’ospedale romano per le analisi». Nel frattempo l’imbarcazione militare rimane a largo, tra Augusta e Catania, in attesa del responso. «Gli esami accertarono che si trattava di varicella – prosegue Pulvirenti – quindi diedi via libera all’approdo, il migrante fu portato in ambulanza, su una barella in isolamento totale, a Sigonella e trasferito allo Spallanzani con un aereo dell’aviazione militare. Questo è stato un esempio classico di collaborazione tra ministero e altri enti».

A preoccupare di più i medici del ministero della Salute sono da un lato i cadaveri, dall’altra i voli aerei. «Quando in un’imbarcazione arrivano anche morti, si pone il problema – sottolinea Pulvirenti – perché non sappiamo la causa del decesso, quindi li trattiamo come se fosse un soggetto ad alto rischio: al porto i corpi vengono disposti in una zona isolata e precedentemente preparata, poniamo dei teli per non disperdere i liquidi biologici che sono la principale causa del contagio dell’ebola e di altre malattie infettive. Quindi procediamo con l’ispezione cadaverica esterna, per valutare se la morte è stata da trauma o naturale e se sono presenti sintomi particolari sulla cute o tracce di sangue. Il cadavere passa poi nella disponibilità dell’autorità giudiziaria che nomina un medico legale per accertare la causa della morte».

Tornando all’ebola – che ha causato al momento 4mila morti in tutto il mondo ma il conto continua a crescere di giorno in giorno – il principale timore viene dal cielo. «Catania e Comiso sono aeroporti di triangolazione – spiega il funzionario del ministero – nel senso che un soggetto proveniente dai paesi a rischio dell’Africa Occidentale potrebbe arrivare a Roma o Milano senza mostrare nessun sintomo, ma poi cominciare a star male sul volo per la Sicilia». Per questo i comandanti degli aerei hanno ricevuto delle precise disposizioni dal Ministero nel caso di malessere sospetto di qualche passeggero. Avvertenze che sono già state messe in pratica, quando la scorsa settimana è scattata l’allerta sul volo Londra-Comiso. «Una passeggera italiana – racconta Pulvirenti – mostrava sintomi come vomito e malessere generale. Il comandante si è preoccupato e ha avvisato la torre di controllo che, a sua volta, ha chiamato me. Accertato che la donna non si era mossa da Londra e non aveva avuto contatti con persone che erano state nelle zone interessate dal virus, siamo rapidamente risaliti all’origine del malessere, dovuto a una confezione di latte avariato». In caso contrario, la passeggera sarebbe stata fatta atterrare e posta in isolamento già sulla pista di Fontanarossa, come prevede il protoccolo anti-ebola. «Il sistema funziona e c’è la massima attenzione da parte nostra – conclude – è bene informare senza creare allarmismi».

Salvo Catalano

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