Forse per provare a capire che cosa sta succedendo nel centrodestra siciliano bisogna partire da chi, in questi giorni, è rimasto nellombra. Da chi non ha proferito parola. Da chi è stato lontano dai giornali. Forse i grandi assenti potrebbero spiegare, meglio dei presenti, il perché, a un certo punto, tra i berlusconiani dellIsola, un partito che ormai sembra avere più generali che truppe, è scattata, come una molla, lopposizione alla candidatura di Gianfranco Miccichè alla presidenza della Regione siciliana.
Miccichè, alla fine, è il fondatore di Forza Italia in Sicilia. Tutti quelli che oggi gli sbarrano la strada sono stati in alcuni casi segnalati e inseriti tra gli azzurri da lui; in altri casi inventati sempre da lui. Francesco Cascio, Giuseppe Castiglione, Innocenzo Leontini e lo stesso Angelino Alfano, oggi coordinatore nazionale del Pdl, debbono molto a Miccichè. Eppure, da questi quattro, è partito e si è consolidato il no a Miccichè. Un no gridato da parte di Castiglione e Cascio. Più felpato da parte di Leontini. Silenzioso, ma forse determinante, da parte di Alfano.
Già, Angelino Alfano. Forse è da lui che bisognerebbe partire per capire quello che sta succedendo. Alfano, ormai dal 2006, prova senza successo ad uccidere – uccisione in chiave psicanalitica, ovviamente – quello che è stato il suo padre politico, cioè Miccichè. Ma finora non cè riuscito. Non è un fatto di antipatia personale, ma un epilogo naturale. La politica è fatta anche di parricidi. Quando riescono, ovviamente.
Che succede, in politica, quando un parricidio, invece, fallisce? In genere, chi ha fallito, riprova. E se a fallire sono in tanti – come sta avvenendo in questi casi – ci riprovano. E se falliscono di nuovo? Ci riprovano ancora. E riprovano, riprovano, riprovano… Con tutti i mezzi.
Ecco: probabilmente la fase attuale è quella delle continue prove – finora tutte a vuoto – di parricidio. Anche lultima occasione, che sembrava quella definitiva, sembra sia andata a vuoto. Anzi, è andata a vuoto.
Ricordate la scorsa settimana? A un certo punto viene fuori la notizia che Berlusconi ha incontrato Miccichè. A noi risulta che ad accompagnare il leader di Grande Sud dal Grande capo – cioè dal Cavaliere – sia stato proprio Alfano. Si dice che, a un certo punto, un Berlusconi favorevole alla candidatura di Miccichè alla guida della Sicilia, gli abbia consigliato di farsi aiutare dalla sua famiglia in occasione della campagna elettorale.
Lindiscrezione che è arrivata a noi descrive, addirittura, una telefonata tra Berlusconi e la figlia di Miccichè.
Queste ed altre indiscrezioni ci hanno indotto a credere – e ci crediamo ancora – che Berlusconi abbia avallato la candidatura di Miccichè. Quello che ci ha colpito, però, è stato il fuoco di sbarramento contro il leader di Grande Sud aperto, in particolare, da due uomini del Pdl molto vicini ad Alfano: Castiglione e Cascio.
In politica nulla è casuale. Soprattutto quando ci sono di mezzo i pugnali (metaforici,ovviamente). E evidente che Castiglione e Cascio non hanno puntato i pugnali (sempre metaforici, naturalmente) su Miccichè senza aver avvertito, o forse senza averlo concordato con lo stesso Alfano.
Così torniamo al parricidio: accompagnare da Berlusconi il suo padre politico, plaudire al Cavaliere che benedice la candidatura di Miccichè e poi, zact!, lanciargli contro i due pugnalatori siciliani. Più altri no sparsi qua e là. Possibile?
Anche se i fatti sembrano essere questi, Alfano sembra essere diverso da chi potrebbe aver interpretato questo ruolo. Il suo stile, lo ripetiamo, sembra un altro. Però cè un però… Cè il parricidio: e questa sarebbe stata unottima occasione per attuarlo. E, alla fine, Alfano è agrigentino di Agrigento. Che significa questo?
Qui bisogna andare alla distinzione tra agrigentini lato occidentale: Agrigento città, Realmonte, Siculiana, Montallegro, forse Ribera e poi tutta la parte occidentale; e agrigentini di Sciacca, Caltabellotta e i dintorni orientali di questa provincia. Tra i primi prevale lo spirito di Falaride; tra secondi la meditazione sulla vita e sul passato in stile Tommaso Fazello. Furibondi i primi; cogitabondi i secondi.
Di Falaride si ricorda un vezzo: un grande animale di metallo dove il tiranno usava mettere i suoi nemici accendendo, poi, i fuochi sotto la pancia: li arrostiva lentamente e le urla dei disgraziati in cottura, si raccontava, si avvertivano per chilometri e chilometri.
Diversi gli agrigentini eredi di Tommaso Fazello: politici meditativi, grandi intellettuali, profondi conoscitori della storia e delle arti. Conquistatori delle anime lavorando dintelletto. Ma non per questo meno innamorati del potere: anzi.
Alfano, insomma, peraltro di ascendenze democristiane, è pur sempre un agrigentino lato Falaride. La natura è natura, anche in politica. Che abbia provato ad ‘arrostire’ Miccichè? Non lo sappiamo. Fatto sta che Miccichè, oggi, è più candidato alla presidenza della Regione di prima.
E’ un fatto logico: di logica politica. Sfuggito ancora una volta al parricidio non può non essere candidato alla guida della Sicilia. Perché tra le tecniche del parricidio messe in atto contro di lui c’è anche il tentativo suadente, portato avanti dai parricidi mancati di sfilargli, ad uno ad uno, i possibili candidati di Grande Sud alle elezioni regionali: venite con noi perché con Gianfranco non raggiungerete nemmeno il 5 per cento e resterete fuori dall’Ars…
Ma più i parricidi – mancati – dicono così, più dalle parti di Grande Sud matura l’idea che il loro partito raggiungerà e, forse, supererà il 10 per cento.
Ci hanno colpito, in questi giorni e in queste ore, le notizie – anche queste vere – di un viaggio romano di alcuni esponenti siciliani del centrodestra. Ricevuti a Roma da Berlusconi a palazzo Grazioli. Ne abbiamo dato contezza nei giorni scorsi. In quelloccasione il Cavaliere avrebbe lasciato capire – ma non detto a chiare lettere – che il migliore candidato alla guida della Sicilia potrebbe non essere Miccichè. E chi, allora?
A noi tutta questa storia così complicata un po ci confonde. Berlusconi avrebbe due facce? E qual è quella vera?
Di vero cè laccelerazione di Pdl e Pid sulla candidatura di Roberto Lagalla, già apprezzato assessore regionale alla Sanità, oggi Rettore dellUniversità di Palermo. Anzi, della candidatura di Lagalla accoppiata con Nello Musumeci, leader de La Destra in Sicilia.
In questa accelerazione – assolutamente legittima da parte di Pdl e Pid – cè, però, una cosa che non comprendiamo, un conto che a noi non torna affatto.
Fino a qualche giorno fa – i lettori che ci seguono lo sanno – abbiamo lanciato una scommessa: abbiamo detto che, a nostro avviso, Musumeci sarà il candidato più votato del collegio di Catania e uno dei più votati – se non il più votato – in tutta la Sicilia.
Di Musumeci – e questo a noi risulta da notizie che arrivano da Roma – si sarebbe interessato lo stesso Berlusconi, che come tutti sanno è ‘patito’ di sondaggi. Ebbene, stando sempre alle solite indiscrezioni, il Cavaliere avrebbe commissionato un sondaggio per scoprire quello che noi abbiamo scritto qualche giorno fa senza lausilio di alcun sondaggio: e cioè che Musumeci, sotto il profilo elettorale, è fortissimo. Più forte dello stesso Lagalla.
E allora, in noi, sorge spontanea una domanda: se Musumeci è più forte di Lagalla perché dovrebbe fargli da secondo? poi oggi leggiamo sui giornali che Miccichè sarebbe andato a Catania. A fare che? Ad incontrare Raffaele Lombardo? Poi leggiamo che Miccichè si complimenta con il presidente della Regione dimissionario: “Bene ha fatto Raffaele Lombardo ad affidare questa fase politica complessa a Giovanni Pistorio”, dice il leader di Grande Sud.
C’è un po’ di confusione, aggiungiamo noi. Non è che, per caso, i parricidi – mancati – del Pdl stanno gettando Grande Sud di Miccichè tra le braccia di Lombardo? E se questi due candidano Musumeci alla presidenza della Regione chi li ferma più?
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