… e lui disse: “Sono un morto che cammina”

di Gabriele Bonafede

Quando si arriva a queste parole “e lui disse sono un morto che cammina” il saggio di Gilda Sciortino “Uomini di scorta” (Officina Trinacria Edizioni, 2012), raggiunge un climax di rievocazione che mette i brividi.

“Lui” è Paolo Borsellino nel periodo tra la morte di Falcone (e della sua scorta) e quella dello stesso Borsellino e della sua scorta. L’episodio si situa in quei giorni in cui il giudice era diventato l’obiettivo numero uno  della mafia ed era evidentemente consapevole di non avere adeguata protezione.

Strage di Via D’Amelio colonna di fumo. Foto tratta da da www.altrainformazione.it

A proposito di quei giorni, l’allora Ministro Nicola Mancino, come ammesso da lui stesso in una recente intervista di Bruno Vespa, andata in onda nel programma Rai “Porta a porta”, il 23 maggio del 1992 lo aveva ricevuto solo per una stretta di mano, trattandolo quasi come una persona qualsiasi nell’anticamera del Ministero dell’interno. Si rimane basiti nell’ascoltare le parole di Nicola Mancino che, candidamente, ammette che non si preoccupò nemmeno per un istante di chiamare lui Paolo Borsellino, nel primo minuto del suo insediamento, e stabilire assieme tutte le misure necessarie alla sua massima protezione. Ma tant’è.

Il saggio di Gilda Sciortino è un lavoro importante nella saggistica sulla storia della mafia, antica, recente e, purtroppo, futura. Non si può prescindere dalla sua lettura se si vuole conoscere e assorbire la vicenda del confronto tra Stato e mafia. Pubblicato alla metà del 2012, è un documento la cui portata non è stata a tutt’oggi capita, anche e soprattutto per comprendere il contesto nel quale si snoda la cosiddetta “trattativa Stato-mafia”.

Attraverso la puntuale testimonianza di decine di uomini di scorta dei giudici Falcone e Borsellino, ma anche di Rocco Chinnici e poi di successivi “target” dell’efferata violenza mafiosa, la giornalista palermitana contribuisce con grande puntualità alla ricostruzione di fatti tristissimi e allo stesso tempo fondamentali per conoscere le implicazioni dell’attacco allo Stato e le variegate reazioni che lo stesso Stato manifestò in quell’anno cruciale, il 1992.

Lo fa con la precisione della giornalista, ma anche della storica, e cioè con un metodo chiaramente scientifico, raccogliendo testimonianze di prima mano per ricostruire non solo quei dolorosi fatti, ma anche il clima, il contesto, i retroscena di uno dei periodi più bui della Repubblica italiana e del suo operato nella gestione dei rapporti con la Sicilia quale entità sociale e politica e della Sicilia quale luogo di confronto tra società civile e società criminale.

Le testimonianze di quegli “angeli” che a rischio quotidiano della propria vita protessero, e riuscirono per molto tempo nell’intento, massimi eroi siciliani di civiltà come Falcone e Borsellino sono grandiose nella loro debordante semplicità.

Descrivono con dovizia di particolari e fulgide rievocazioni un contesto dove chi difendeva gli uomini che portavano avanti in prima linea la lotta, anzi la guerra, alla mafia, non era messo nelle condizioni di farlo al meglio. Numerose, e forse troppo numerose, le circostanze in cui il Ministero degli interni sottovalutò il pericolo, non si sa se volutamente o meno, e sopravvalutò le risorse messe a disposizione per la protezione dei due giudici. Se non fossero morti, e in quel modo atroce e tremendo, non ci sarebbe stata la controprova.

Invece la controprova ci fu, corroborata dal famoso discorso di Borsellino alla Biblioteca comunale di Palermo, dopo la morte di Falcone, rafforzata da quelle tenebrose parole “sono un uomo morto”, da tante altre testimonianze e soprattutto dalla loro stessa morte insieme agli uomini di scorta. Le misure per difenderli, visto che sono morti e che Borsellino se lo aspettava, furono insufficienti, non da parte degli uomini di scorta, che per altro pagarono con la loro vita e con una morte agghiacciante, ma da chi era loro superiore, via via nella scala gerarchica, forse fino al vertice finale, e cioè il Ministro degli interni.

Il processo in corso sulla trattativa Stato-mafia deve stabilire se ci fu una responsabilità diretta o indiretta. Ma che le misure prese furono insufficienti è un dato di fatto purtroppo incontrovertibile, per l’appunto perché furono uccisi e lo furono nonostante, come si evince dalla lettura di “Uomini di scorta”, i grandi sacrifici e la professionalità delle scorte e le ripetute richieste di mezzi più adeguati alla loro protezione che, evidentemente, lo Stato italiano, o più precisamente una parte di esso, non fornì.

Strage di Capaci. Foto tratta da www.cultura.biografieonline.it

Scorrono le lacrime per qualsiasi siciliano onesto che legga il saggio di Gilda Sciortino. Riappare, dentro di noi, quella rabbia, quella sensazione di abbandono da parte dello Stato italiano, vissuta in quegli orribili giorni, quelle settimane, quei mesi. Straordinariamente toccanti sono le testimonianze di Giuseppe Costanza e di Antonino Vullo, unici superstiti delle due scorte, a prezzo di ferite fisiche e psicologiche indelebili. Come indelebili devono essere le memorie di quei fatti se la Sicilia e l’Italia vogliono finalmente entrare in una fase in cui quegli stessi fatti sono visti come Storia e non come cronaca contemporanea: cioè superandoli realmente, e traendone frutto  di civiltà. Cosa che può accadere solo facendo luce chiara su quegli avvenimenti e a tutti i livelli, come da troppo tempo ormai il popolo siciliano, ancor prima di quello italiano, chiede.

“Uomini di scorta”, con un’irrinunciabile prefazione di Giuseppe Pignatone (Procuratore capo a Roma) è stato presentato da Giancarlo Caselli al recente Salone del libro di Torino e sarà presentato domani, domenica 16 giugno 2013, ad Avola, in provincia di Siracusa, all’Eremo madonna delle Grazie alle 11.00.

Non si può realmente e con cognizione di causa parlare di mafia oggi, e soprattutto delle stragi di Capaci e di Via d’Amelio,  senza aver letto prima questo libro. Non si può conoscere realmente la Sicilia contemporanea, non si può conoscere la storia della mafia, della Sicilia e dell’Italia senza averlo letto. Non si può, infine, capire lo stato d’animo di un intero popolo, quello siciliano, nei confronti della Repubblica italiana, senza aver letto questo libro, comprendendo pagina dopo pagina che cosa è ed è stata realmente la vita di uomini straordinariamente ordinari come gli Uomini e le Donne di scorta.

Gabriele Bonafede

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