Duplice omicidio Piana, parla il testimone che trovò i corpi La medica legale è tornata sulle autopsie dei due cadaveri

Protagonisti dell’udienza del processo per il duplice omicidio e il tentato omicidio della notte tra il 9 e il 10 febbraio del 2020 in contrada Xirumi, nella zona della Piana a cavallo tra le province di Catania e Siracusa, sono stati la medica legale Veronica Arcifa e il testimone Angelo Patené, uno dei familiari che, accorsi tra i terreni, ha ritrovato prima il sopravvissuto Gregorio Signorelli (che adesso è indagato nel procedimento collegato per il tentativo di furto di arance di quella notte) e, all’alba, anche le due vittime Massimo Casella e il 18enne – figlio della sua compagna – Agatino Saraniti. Imputati sono il custode Giuseppe Sallemi e il pensionato Luciano Giammellaro. Il primo, detenuto nel carcere di Piazza Armerina anche oggi ha rinunciato a essere presente, mentre Giammellaro – che si trova nella casa circondariale di Agrigento – ha assistito in videocollegamento.

«Quanto emerso oggi in aula – ricostruisce a MeridioNews l’avvocata Paola Lopresti che assiste il sopravvissuto che è anche testimone chiave del processo – conferma la ricostruzione fatta di Signorelli». Patané è l’uomo che, arrivato in quella che è poi diventata una vasta scena del crimine, seguendo le grida di aiuto, ha trovato il sopravvissuto «nascosto sotto un albero all’interno di un giardino dove, per entrare, abbiamo dovuto strappare la rete, perché non si poteva passare». Quando di notte lo trovano, Signorelli, che dal luogo degli spari si è allontanato parecchio, è gravemente ferito e ha già perso molto sangue. 

«Abbiamo aspettato per circa un’oretta l’ambulanza che, però, non è riuscita a trovare il posto e, così, lo abbiamo caricato in macchina e lo abbiamo portato in ospedale». Signorelli, è il primo che viene ferito. Un colpo che sarebbe stato letale, come ha spiegato la medica legale, se non fosse stato attutito e rallentato dal braccio. Stando a quanto ricostruito dal testimone, degli altri due che erano arrivati tra gli agrumeti sul Fiat Doblò insieme a lui, avrebbe detto che «erano riusciti a scappare». E, invece, è mattina presto quando i familiari tornano sul posto e trovano i due cadaveri. In particolare, è stato proprio Patanè a scoprire il corpo di Agatino Saraniti «coperto da un’erba che mi ha incuriosito perché era diversa, più secca, rispetto a quella dei terreni circostanti». La maglietta del 18enne era sollevata e avvolta dietro al collo mentre i pantaloni della tuta erano abbassati fino alle caviglie. A circa 150 metri in linea d’aria c’era Massimo Casella, raggomitolato in posizione fetale. Secondo quanto emerso dalle indagini, entrambi i cadaveri sarebbero stati spostati. 

Casella sarebbe stato colpito da uno sparo soltanto, all’addome, dall’alto verso il basso: i pallini avrebbero trafitto polmoni e pancreas. Al 18enne, invece, avrebbero sparato tre volte: un colpo sullo stomaco, a bruciapelo, a contatto con la pelle nuda, che è uscito dall’altra parte della pancia senza raggiungere organi vitali. Secondo la ricostruzione della medica legale, questo potrebbe essere stato il primo colpo. Il ragazzo potrebbe essersi avvicinato e, per disarmare l’aggressore, avrebbe afferrato la canna del fucile. Poi, più da lontano, un colpo al gluteo destro e, infine, quello fatale che lo colpisce al centro della schiena spezzandogli la colonna vertebrale. Per la morte di Saraniti viene contestata l’aggravante della crudeltà. Mentre si attende il deposito delle trascrizioni per potere passare all’analisi delle intercettazioni, la prossima udienza è già stata fissata per il 5 ottobre.

Marta Silvestre

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