È stata fissata per il
24 marzo l’udienza preliminare per decidere sulla richiesta di rinvio a giudizio nei confronti del 42enne Giuseppe Sallemi e del 71enne Luciano Giammellaro. I due, custode il primo e pensionato il secondo, sono accusati dal pubblico ministero Andrea Palmieri di essere gli autori del duplice omicidio e del tentato omicidio avvenuti la notte tra il 9 e il 10 febbraio del 2020 in contrada Xirumi, nella zona della Piana, a cavallo tra le province di Catania e Siracusa. A perdere la vita furono il 47enne Massimo Casella e il 18enne – figlio della sua compagna – Agatino Saraniti. Unico sopravvissuto e testimone chiave dell’inchiesta è il 36enne Gregorio Signorelli che è anche indagato nel procedimento collegato per il tentativo di furto di arance di quella notte.
Concluse le indagini, per il sostituto procuratore a spingere i due a imbracciare il fucile calibro 12 (portato illegalmente in quel luogo perché Sallemi aveva il porto d’armi solo per andare a caccia) caricato a pallini ed esplodere diversi colpi, anche a distanza ravvicinata, sarebbe stato un «risentimento per l’azione predatoria ai danni del fondo agrumicolo», si legge nei documenti. Un movente che è stato ritenuto sproporzionato all’azione per cui sussiste l’aggravante dei futili motivi. Per la morte di Saraniti, inoltre, viene contestata anche l’aggravante della crudeltà per l’ultimo colpo sparato a contatto. Giammellaro continua a dichiararsi innocente. Sallemi invece, dopo essere stato arrestato, ha confessato di avere agito da solo e per legittima difesa. Una tesi che, però, sarebbe stata già smontata dai risultati dell’autopsia.
A parlare di una terza persona presente quella notte nell’
ampia scena del crimine era stato Signorelli, già mentre si trovava all’ospedale Garibaldi centro di Catania gravemente ferito dai colpi d’arma da fuoco. «Erano in tre – aveva raccontato il sopravvissuto a MeridioNews – sono arrivati tutti insieme con due macchine e i due scesi dalla jeep erano già armati». Loro, invece, erano tutti e tre disarmati. Una versione che Signorelli ha poi ribadito anche durante l‘incidente probatorio. Un uomo più giovane, che «avrebbe assistito ai primi momenti ma sarebbe poi andato via senza prenderne parte». Dalle carte dell’inchiesta è emerso che si tratterebbe del figlio dell’anziano guardiano che, però, non è indagato. Il sopravvissuto, infatti, è stato in grado di riconoscere l’auto ma, tra buio e distanza, non è stato in grado di indicare con precisione la persona.
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