Duomo, asfalto rimosso prima di Sant’Agata Caffo: «È stata una figuraccia per tutta la città»

Il Duomo di Catania asfaltato. Una vicenda, sollevata da MeridioNews, che ha superato i confini etnei. Oltre l’indignazione del critico d’arte Vittorio Sgarbi è arrivata pure la satira di Striscia la notizia. «Una figuraccia per la città – dice la soprintendente ai Beni culturali catanesi Fulvia Caffo –  Almeno, però, è servita a qualcosa di buono». Iniziano oggi i lavori per la rimozione del manto nero e la posa del cocciopesto. Che dovrebbero concludersi con largo anticipo rispetto alle celebrazioni per Sant’Agata. Una soluzione temporanea, che potrebbe lasciare il posto a nuove soluzioni.

A guardare il servizio di
Striscia sul sagrato della cattedrale, giovedì sera, c’erano circa sei milioni di italiani. «Dopo il vostro articolo il vortice mediatico si è allargato a dismisura», ricostruisce Caffo. La soprintendente, allertata della faccenda, aveva commentato: «Una soluzione migliore doveva esserci». Parole subito condivise dalla maggior parte della cittadinanza e, il giorno seguente, pure da Vittorio Sgarbi, che a MeridioNews parlava di «intervento senza senso». Alle le parole del critico d’arte si sono aggiunte, poi, quelle del Comune di Catania, che prometteva indagini sui responsabili e ripristino di una pavimentazione più decorosa una volta concluse le festività agatine. 

Tempi che sono stati accelerati appena
Stefania Petyx e il suo bassotto, inviati di Striscia la notizia, hanno messo piedi e zampe sulla zona rattoppata del sagrato. «Un fatto che deve fare riflettere», commenta Caffo. D’accordo con la Soprintendenza, stavolta, e senza interpellare il Comune, la Curia ha deciso l’immediata sostituzione dell’asfalto col cocciopesto. Materiale «più rispettoso dell’equilibrio artistico della cattedrale, facile da posare e sicuro». La data di completamento dei lavori ha come limite l’inizio delle festa di sant’Agata, ma l’opera dovrebbe essere consegnata in largo anticipo

Una soluzione temporanea, «che però si avvicina a quella definitiva», spiega Caffo. Una volta posato il cocciopesto, insieme alla Curia – «che è responsabile della conservazione del bene culturale», precisa la dirigente – la Soprintendenza valuterà le proposte per la ripavimentazione. «È l’occasione giusta di avviare un progetto artistico che porti al ripristino del bene attraverso l’impiego dei materiali utilizzati in origine». Ma ci sono anche altre soluzioni, come il recupero della pavimentazione settecentesca su cui poggia quella parte di chiesa: «Idee originali come questa sono anche più interessanti», sostiene Caffo.

Il rattoppo dell’asfalto posato decenni prima, avvenuto a dicembre e motivato dalla salvaguardia l’incolumità dei visitatori, era stato disposto dalla curia ed eseguito dalla partecipata comunale
Multiservizi. Come spiegato dall’assessore alla Manutenzione Luigi Bosco, la Soprintendenza non era stata contattata. «Le responsabilità sono ormai delineate, chiare», sottolinea Caffo. E hanno generato l’onda mediatica carica di ironia, cavalcata pure dagli stessi catanesi, «che ha dato alla nazione un’immagine certo non bella di Catania». Tutto sommato però, secondo la soprintendente, «l’importante è avere rimediato all’errore», ma ancora di più lo sarà «ricordarsi della figuraccia per evitarne di nuove». 

Ma le criticità, lungo il percorso turistico cittadino, non mancano. Ad esempio «l’asfalto che circonda il resto della Cattedrale, nella parte laterale – dice una guida turistica catanese – o la grondaia in rame che segna la facciata della chiesa di San Martino dei Bianchi». Oppure il meno conosciuto Arco di San Giovanni de’ Fleres: quel che resta di una chiesa trecentesca di via Cestai, scampata a terremoti ed eruzioni, «che giace abbandonata, sotto i graffiti». Senza dimenticare «le ormai caratteristiche auto in sosta davanti al Castello Ursino come lungo via Crociferi». Zone a traffico limitato dove il divieto di fermata non è rispettato né fatto rispettare. Concludendo con i palazzi ottocenteschi di San Berillo: «Lasciati spesso in mano di speculatori, che ne aspettano il crollo per costruire nuovi edifici invece di recuperare le antiche strutture dal valore storico significativo».

Marco Di Mauro

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