Una flebo attaccata e nella mano – la stessa – una sigaretta accesa. Poco più in là un infermiere, costretto a lavorare tra uno sfottò e una canzone napoletana cantata a squarciagola. Il tutto dentro quello che sembra un ospedale. Protagonista del video è Maurizio Calabrò, 37enne messinese detto Militto, arrestato ieri dai carabinieri nell’ambito dell’operazione Doppia sponda su un traffico di stupefacenti proveniente da Catania e Gioia Tauro. La ripresa, fatta presumibilmente da un amico, è stata pubblicata su Facebook dallo stesso Calabrò. «Non ce la fanno più neanche i dottori. Lo vedete st’infermiere? S’è preso le ferie ancora prima dei festivi. Anticipò di un mese», scrive il 37enne.
La scena ritrae in sintesi i tratti essenziali di colui che è ritenuto dagli inquirenti il promotore dell’associazione, che nel capoluogo peloritano aveva deciso di fare affari smerciando marijuana. Droga che sarebbe stata comprata in conto vendita da Sebastiano Sardo, 30enne ritenuto esponente del clan mafioso catanese Cappello-Bonaccorsi. Un sostegno quello di Sardo – conosciuto come Iano occhiolino – che sarebbe andato ben al di là del rapporto tra fornitore e rivenditore, con tanto di nome tatuato nell’avambraccio con cui Calabrò aveva deciso di suggellare l’amicizia.
In base alla ricostruzione degli inquirenti, il 37enne messinese era il punto di riferimento del gruppo che organizzava i viaggi per il procacciamento della droga. Traffico che si muoveva sempre tra le modalità specifiche di un’associazione – con scelta dei corrieri e conversazioni telefoniche per pianificare gli incontri – e l’artigianalità di chi ambisce a diventare self made man di un mondo, quello criminale, dove non manca la concorrenza. Ed ecco dunque che, accanto ai rimandi ai simboli cinematografici della criminalità – come Scarface – pubblicati su Facebook, ci sono anche le avventure più o meno scalcinate. Che, secondo gli investigatori, servivano a nascondere la droga. Ed è proprio una di queste che risulta particolarmente problematica per Calabrò.
È il 28 giugno 2013, quando il gruppo va a Misterbianco, in provincia di Catania. I magistrati parlano di un traffico di quasi cinque chili di marijuana. A fare compagnia a Calabrò, anche Samuele Zocco, Antonino Pandolfino e Giuseppe Valenti, tutti arrestati ieri. Fatto ritorno a Messina i quattro avrebbero sotterrato la droga in località Sivirga, al Villaggio Bordonaro, quartiere a sud di Messina. Lo ritengono un buon nascondiglio, al punto da disinteressarsene apparentemente per più di una settimana. Fino alla sera del 6 luglio, quando è proprio Calabrò che – insieme a un minorenne con precedenti per rapina e giunto per sostituire Pandolfino – arriva a Sivirga a bordo di un motociclo e badile in mano. Pochi attimi dopo, la brutta sorpresa: la droga è sparita. La marijuana era stata infatti sequestrata poche ore prima dai carabinieri. Ipotesi che Calabrò mette in conto pochi attimi dopo aver scavato la buca. E così inizia a scappare. Fuga che finisce ancora prima di iniziare, con i militari che intervengono bloccandolo «in flagranza di reato».
L’episodio, si legge nell’ordinanza, mette di fatto fine alla leadership di Calabrò. Ad andare avanti, invece, è l’amicizia con Iano occhiolino, il quale si occuperà del suo sostentamento in carcere, arrivando a regalare un’auto alla compagna di Calabrò ma soprattutto a minacciarne il fratello maggiore, Santino, colpevole di non prendersi sufficientemente cura dell’amico. Che il legame tra i due sia forte è riassunto nell’incontro a distanza che si svolge mentre Calabrò è dietro la finestra dell’infermeria del carcere di Gazzi. Sardo, quel pomeriggio, arriva appositamente da Catania e si ferma in strada. Per urlare all’amico di stare tranquillo, che adesso penserà a tutto lui. Un colloquio intercettato soltanto in parte dagli uomini del Nucleo investigativo perché «per lunghi tratti incomprensibile». Un po’ come la canzone napoletana cantata qualche mese fa. Tra una flebo e una sigaretta.
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