Colpi di pietra in testa davanti alla cappella di famiglia al cimitero di Catania. È stata uccisa così la 59enne Maria Concetta Velarsi il 7 gennaio del 2014. Adesso, la Gup Anna Maria Cristaldi ha condannato nel processo di primo grado a 30 anni di reclusione il figlio 44enne Angelo Fabio Matà. L’uomo si è sempre proclamato innocente, ma la giudice ha accolto la richiesta del pubblico ministero Giuseppe Sturiale della divisione reati contro la persona coordinata dall’aggiunto Ignazio Fonzo.
Secondo l’accusa, il sottufficiale della marina militare Matà avrebbe ucciso la madre al culmine di una lite all’interno del camposanto etneo, dove la donna andava tutti i giorni a trovare il marito e un figlio morto quattro anni prima. Tra gli indizi a suo carico le testimonianze di tre signore che hanno affermato di aver sentito delle urla di donna durante una lite provenire da un punto ben determinato del camposanto, tra le 15.30 e le 15.45. A incastrare definitivamente l’uomo, secondo quanto ricostruito dagli investigatori, sarebbero state le sue tracce biologiche trovate nelle unghie della mano della vittima e il sangue di quest’ultima, rinvenuto nella portiera posteriore destra della macchina di Matà.
Matà avrebbe ucciso la madre colpendola con due pietre che pesano 23 e 18 chili. La donna è morta dopo 30-45 minuti di agonia. Il movente sarebbe da ricercare nel profondo rancore provato dall’uomo per la donna. Stando a quanto ricostruito durante le indagini della squadra mobile la madre sarebbe stata ritenuta, dall’uomo, come un ostacolo alla realizzazione dei progetti di vita personale. In particolare, la causa scatenante sarebbe collegata all’intenzione di sposarsi. Il rapporto con la donna, testimoniato dalle continue telefonate che Matà le faceva nel corso della giornata e dal fatto che la accompagnasse sempre nelle sue visite quotidiane al camposanto, viene definito «ossessivo».
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