Don Pippo Cesarotti, il «socio occulto» dei Santapaola L’economo del clan col vizio di parlare da solo in auto

Il «socio occulto» e la «cinghia di collegamento per il clan». Così gli inquirenti hanno definito Giuseppe Cesarotti, il 75enne arrestato nell’ambito dell’operazione Samael, insieme al figlio Salvatore e ad altre sette persone, che martedì ha portato i Ros al sequestro di un enorme patrimonio di 12 milioni e 660mila euro. Una stangata per il clan Santapaola-Ercolano. Imprenditore attivo da decenni nel settore dei trasporti di merci, don Pippo ha la strana abitudine di parlare da solo lungo i suoi tragitti in macchina. Probabilmente non immagina di essere intercettato. 

Già condannato in via definitiva nell’operazione Orsa maggiore perché affiliato al clan Santapaola, sarebbe stato lui a dare sostegno logistico durante la latitanza di Nitto. Stando a quanto emerso dalle indagini, adesso a lui sarebbe toccato il compito di curare la liquidazione degli investimenti di capitali illeciti e quello di garante per il recupero dei capitali anche per «chi è nell’altra vita (Francesco Mangion, ndr) e per coloro che sono sepolti vivi (ovvero gli ergastolani Santapaola e Ercolano, ndr)». Compiti che talvolta si rivelano complicati al punto che Cesarotti fa ricorso alla forza intimidatrice anche avvalendosi di uomini più giovani.

«Vedi che c’è l’addumata». Don Pippo fa un monologo dentro la sua Peugeot 208 immaginando di rivolgersi al proprietario del lido Jaanta Bi Village a Fondachello (frazione balneare di Mascali) poche ore prima dell’incendio che lo distruggerà. È l’epilogo di un’escalation di richieste di estorsioni, fatte anche di minacce e aggressioni fisiche. Stando a quanto ricostruito dagli inquirenti, Cesarotti senior dopo la cessione della società si sarebbe presentato dai nuovi proprietari come loro creditore. Ottenuto il pagamento di 500mila euro tra il 2007 e il 2011, di fronte alle difficoltà economiche e alle ritrosie degli imprenditori, avrebbe palesato la propria appartenenza criminale: «La famiglia Santapaola per il culo non si prende».

Negli anni successivi, tra il 2012 e il 2016, le richieste di denaro sarebbero andate avanti diventando sempre più pressanti anche con la minaccia di «coinvolgere altri esponenti mafiosi». Se non avesse ottenuto quanto voluto «avrebbe mandato dei suoi uomini per gestire il lido». Nell’estate del 2016, dopo avere avanzato la pretesa di una villetta e l’avvertimento di essere stato «fin troppo clemente», don Pippo torna al lido (insieme al figlio Salvatore) per «l’ultimatum» minacciando i proprietari che «sarebbe finita male e i carabinieri non gli avrebbero creduto». In quell’occasione uno dei proprietari sarebbe anche stato aggredito fisicamente con ripetuti spintoni. 

È a questo punto che, in un ennesimo soliloquio in macchina, Cesarotti esterna la volontà di ordinare l’incendio del lido. Una decina di giorni prima, contatta Armando Pulvirenti (tra gli arrestati) e lo esorta a non perdere tempo perché sono arrivati i giorni del «fuoco». Le fiamme danneggiano gravemente lo stabilimento balneare la notte tra il 23 e il 24 agosto 2017. Nei giorni successivi, Cesarotti viene intercettato mentre dice: «Allora perché noialtri ci squagghiammu u lidu?». L’ultimo atto della sua spirale estorsiva. Quando il proprietario il giorno dopo va a denunciare l’episodio ai carabinieri, racconta di essere stato avvicinato prima da Cateno Russo e poi da Orazio Di Grazia (entrambi arrestati) che gli intimavano la restituzione di un debito insoluto di 270mila euro

Estorsioni non solo da fare ma anche da evitare. È il gennaio 2018 quando i titolari del bar Ottagono di Mascalucia subiscono delle richieste estorsive da parte del gruppo locale del clan Santapaola-Ercolano. Stando a quanto emerso dalle indagini, forti del legame di amicizia i proprietari si rivolgono a don Pippo che interviene personalmente per risolvere e per fare «valere la propria posizione all’interno del sodalizio». Da alcune intercettazioni, inoltre, sarebbe trapelato anche un interesse patrimoniale di Cesarotti nell’attività, tanto che riteneva che toccare quell’esercizio commerciale avrebbe significato fare un torto a Benedetto Santapaola

Un torto Cesarotti non lo avrebbe tollerato nemmeno dalla concorrenza nel suo settore dei trasporti. Per garantirsi il monopolio avrebbe fatto ricorso anche a minacce e intimidazioni. «A settembre faccio cinquant’anni che sono in quest’azienda. Stai attento, vedi che comando io. Sei il classico bolognese e vedi che ai bolognesi gli ho sempre dato botte». Parla da solo ancora una volta mentre, nel marzo 2018, è in viaggio per andare a incontrare un dipendente della società bolognese da cui riceve le commesse per la merce da trasportare per chiarire la pretesa di mantenere il monopolio. Dopo l’incontro continua: «Questo (il concorrente, ndr) neanche sa dove sta di casa e come agghiurnò (fece giorno, ndr). Quanto prima da questo scoppiano le bombe. Tu non mi puoi toccare a me. A qualcuno che ha la testa dura, uno glielo fa capire».

Telefonate anonime da parte di un uomo con uno spiccato accento palermitano che «mi avvertiva di non lavorare più perché gli stavo togliendo il pane ai suoi figli», furti e danneggiamenti. Sono i gesti che precedono una lettera anonima con chiare minacce che arriva a un imprenditore concorrente. «Carissimo collega, volevo avvisarti che ti ho rispettato molto incendiando un camion solo, cerca di stare lontano dal pane dei nostri figli. Sarebbe rischioso per i tuoi. Rifletti dove non devi andare a rompere il cazzo, la prossima volta saranno tutti e non uno solo anche con tutte le difficoltà che troviamo nel farlo. Abbi pazienza che il signore te la rende a te e ai tuoi cari». Sull’altra facciata della lettera c’è scritto: «Non tenere conto dell’indirizzo ma siamo comunque a Catania». 

Marta Silvestre

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