Il 22 febbraio scorso è stata ufficialmente comunicata la nuova classe di concorso A23 – Lingua italiana per discenti di lingua straniera (alloglotti). Per accedervi occorrono la laurea e i titoli di specializzazione di italiano L2 individuati dal Ministero dell’Istruzione. Ma che succede se i requisiti stabiliti sono talmente restrittivi da lasciare fuori concorso buona parte dei docenti che già da anni lavorano in questo settore? Nei mesi scorsi infatti non sono mancate le proteste. E cede a uno sfogo su Facebook anche Fabrizio Leto, insegnante di lingua e cultura italiana presso il Centro Linguistico d’Ateneo di Palermo, che recentemente aveva raccontato a MeridioNews luci e ombre del mestiere. «Mi sono formato (a suon di quattrini) presso l’Università ‘Ca Foscari di Venezia, all’Università per Stranieri di Siena e in ultimo, all’Università di Palermo, ho conseguito a pieni voti e con lode un master di secondo livello in teoria, progettazione e didattica dell’italiano come L2/LS».
Leto, infatti, dopo la laurea in Lettere Moderne a Palermo, intraprende un percorso professionale fuori dalla Sicilia, collaborando anche con l’Università di Copenaghen. Ai titoli accademici si aggiungono presto due anni di sperimentazione didattica, due pubblicazioni nel settore, pubblicazioni universitarie sul problema dell’analfabetismo fra i migranti e i circa sei anni di esperienza sulle spalle. In tutto circa tremila ore di insegnamento: «Nelle mie classi fanno tirocinio per imparare il mestiere studenti Unipa, studenti alle prese col master, saltuariamente visiting students, professori, dottorandi italiani e stranieri». Questo provvedimento doveva, principalmente, puntare a stabilizzare la posizione professionale di tutti i cosiddetti fantasmi del settore che, invece, adesso risultano più a rischio di prima.
Sì, perché l’anno prossimo il loro posto sarà ceduto a coloro i quali potranno partecipare al concorso pubblico. «Quando mesi fa erano stati annunciati la cancellazione dei co.co.co. e la creazione di una classe di concorso specifica per il mio settore ero pieno di entusiasmo e fiducioso che le cose sarebbero finalmente migliorate. Beh, checché ne dica il Presidente del Consiglio dei Ministri in Tv, i co.co.co. nella pubblica amministrazione non sono stati cancellati, ma la tanto attesa classe A23 ha cancellato me» prosegue Leto sui social. Secondo il Miur Fabrizio Leto, infatti, non avrebbe i titoli necessari per partecipare al concorso, «Ma allora chi ha questo titolo?» ribatte il docente palermitano, che aggiunge: «La didattica in lettere e quella in L2 sono due cose molto distanti, concetto rimarcato da documenti europei quali il PEFIL e il QCER e da autorità nella ricerca come gli atenei di Palermo, Milano, Roma, Siena, Venezia e Perugia e la stessa GISCEL. Creando una classe nuova non hanno tenuto conto di chi lavorava già da anni e si formava. Per questo – conclude – avremmo voluto una norma transitoria, perché insegnare lettere non è la stessa cosa di insegnare lingue, quindi il tfa in lettere è un titolo che non ha senso per questo lavoro».
Secondo il docente il Ministero non ha quindi tenuto conto dei percorsi formativi di chi svolge da anni questo mestiere, optando per dei requisiti rivelatisi da subito fortemente incoerenti con la formazione di chi si è specializzato da tempo nel settore. I numerosi co.co.co. nascosti – e neanche troppo – dentro le stanze della pubblica amministrazione quando potranno essere tutelati e regolamentati tanto quanto le altre categorie professionali? «Io, come tanti altri, ho presentato ricorso per accedere alle prove del concorso. Il Tar ci aveva detto che non avevamo diritto, ma pare che in appello il Consiglio di Stato ci abbia dato ragione. Si saprà con certezza a metà maggio».
Intanto il Sottosegretario all’Istruzione Davide Faraone si nega, preferendo evitare i commenti sulla faccenda. È ottimista, invece, Maria D’Agostino, preside della Scuola di lingua italiana per Stranieri di Palermo: «La nuova classe di concorso è da valutare positivamente, senza dubbio. È importante questa attenzione che viene riservata alle specificità dell’insegnamento agli stranieri e che la scuola italiana raccolga nuove professionalità». E a proposito dei requisiti richiesti spiega che «bisognerà prestare maggiormente attenzione in futuro ai criteri di accesso, valorizzando anche le esperienze e il percorso formativo. È bene che in un secondo momento si torni a ragionare sulla questione in maniera più completa, tenendo conto del mix di formazione ed esperienza». In futuro, quindi, D’Agostino consiglia di calibrare meglio il peso del percorso pregresso dei docenti di questo settore e di raccordare il tutto con una formazione universitaria precisa che, per quest’area particolare, manca. «Spero soprattutto che nelle prove d’accesso ci sia meno fretta e meno improvvisazione rispetto a quanto successo per le prove dei giorni scorsi per la classe di insegnamento dell’italiano – continua D’Agostino -, in modo che possa emergere la reale qualità della formazione».
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