Ci eravamo fin troppo abituati a considerare del tutto naturale recarci al nord per la migliore assistenza sanitaria. I meridionali malati e le loro famiglie si sono sempre trovati innanzi alla scelta drammatica di rimanere nella propria regione, ottenendo l’assistenza possibile, con i rischi connessi alla fatiscenza delle strutture, alla carenza di personale, all’arretratezza delle tecnologie, alla conseguente limitazione delle strategie terapeutiche, diagnostiche, di intervento. Oppure, spendere i propri soldi, o procurarsi provviste in deficit, per emigrare nelle strutture innovative del nord, ricche di personale specializzato, tecnologie all’avanguardia e metodi sperimentali di intervento e terapia. Ritenevamo normale trovarci innanzi alla scelta ineluttabile, senza considerare l’ingiustizia della medesima, convinti di meritare lo stato di retrocessione sanitaria e convinti di dover essere grati al nord per l’accoglienza riservataci nelle sue strutture, nei suoi alberghi, nei suoi ristoranti, nelle sue farmacie.
Grati ai professionisti del nord, magari di origini meridionali, costosi, ma in grado di fornire maggiori garanzie di sopravvivenza. Innanzi ad un problema personale di salute, l’angoscia ha distratto dall’analisi dell’articolo 32 della Costituzione, che benché applicabile sull’intero territorio nazionale, ha trovato differenti realizzazioni nei diversi quartieri dello Stivale. Nessuno si è preoccupato di sollevare la violazione costituzionale, preferendo affrontare la superiore scelta, prima che fosse troppo tardi, sperando che tutto andasse bene, per poi potere tessere le lodi della sanità del nord, disprezzando quella nostra, con tono dispregiativo e di colpevolizzazione di noi stessi, meritevoli del nostro degrado, per ragioni che affondano le radici nel passato, in un passato imprecisato, indefinito.
Comunque, colpa nostra! Perché viviamo in una terra di mafiosi, e la colpa è nostra! Perché viviamo in un Paese di parassiti, e la colpa è nostra! Perché i nostri ospedali fanno schifo, e la colpa è nostra! Come fanno schifo le nostre scuole, sempre per colpa nostra. Accuse generiche, che solleviamo altrettanto istintivamente, perché ci riteniamo meritevoli delle doglianze, a nulla valendo la storia dei greci, dei romani, degli arabi e dei normanni. Tempi talmente lontani, da essere divenuti mitologici e leggendari, dunque astratti. A nulla valendo i pensieri di Verga, di Pirandello, di Sciascia, perché le loro opere non trovano quasi spazio nei programmi di scuola e non trovano nessuno commento nelle pagine Facebook e nei gruppi whatsapp.
Oggi non è a rischio la salute di un padre, di una madre, di un figlio o di un fratello. Oggi non siamo nelle condizioni di poter scegliere dove curarci, nemmeno attingendo ai risparmi custoditi nelle nostre banche, o nelle imbottiture dei divani. Oggi è a rischio la salute di un popolo nella sua interezza. Un popolo che, pur volendo, non potrebbe nemmeno spostarsi, costretto a curarsi dove si trova, con i mezzi di cui dispone. Un popolo che segue con dolore le sorti di quel flagello maledetto che sta falcidiando il nord. Un popolo che segue quelle sorti, col terrore che possa accadere lo stesso anche qui. Un popolo che, per paura, dopo avere curato e custodito i turisti bergamaschi, chiude lo stretto ai propri fratelli, incoscientemente e sbrigativamente liberati e consegnati all’istintivo rientro alle umide dimore dei propri paesini, alle affettuose braccia delle madri, incapaci di respingerli. E osserviamo l’andamento statistico della curva dei contagi, pregando per i nostri fratelli del nord e per noi stessi, che a parità di condizioni, moriremmo come cani in gabbia.
Quando tutto sarà finito, e tutto presto finirà, conteremo i morti, piangeremo le migliaia di italiani vittime del Covid-19. Esalteremo i nostri guerrieri e generali in camice bianco. Inizieremo la ricostruzione del tessuto economico, utilizzando quei denari che finalmente sono stati stanziati. Quei miliardi che non erano mai stati investiti al sud, serviranno per ricostruire l’Italia. E saremo anche noi a ricostruirla, come abbiamo sempre fatto, non attraverso contributi diretti, ma per il tramite di rinunce ai nostri diritti. Dopo, però, dovremo riprendere in mano la Carta Costituzionale, soffermandoci a riflettere sulla concreta applicazione dell’articolo 2 e dell’articolo 3. Dunque, dovremo trarre le dovute conclusioni, al netto delle transitorie fiaccolate tricolore dettate dall’emergenza. Perché, sinceramente, non ho più intenzione di costringere i miei figli a vivere in una colonia. Ma non ho nemmeno intenzione di portarli via. La politica, in questa fase di dilagante contagio, parte avvantaggiata rispetto a noi, che abbiamo iniziato solamente adesso a lavarci le mani.
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