Dalla dipendenza all’interdipendenza. È questo il titolo del disegno di legge popolare che martedì verrà presentato alla Regione Siciliana per un sistema integrato e diffuso di prevenzione, trattamento, riduzione del danno e inclusione sociale in materia di dipendenze patologiche. «Siamo partiti dalla consapevolezza che è impossibile essere indipendenti ma si possono creare legami e dipendere da cosa buone». A spiegare a MeridioNews come si è arrivati al tentativo di colmare un vuoto normativo è Clelia Bartoli, docente del corso di Deontologia, sociologia e critica del diritto all’Università di Palermo che, insieme a un gruppo di studenti ha coordinato il lavoro di redazione partecipativa della proposta normativa. «In Sicilia, manca una legge quadro sulle dipendenze patologiche – aggiunge – e non c’è nemmeno un’articolazione normativa regionale dei Livelli essenziali d’assistenza (Lea) in materia di dipendenze». E questo si traduce in una quasi totale assenza di fondi, personale e servizi. Quello delle sostanze stupefacenti è un tema che, per diverso tempo, è sparito dal dibattito pubblico e dai tavoli istituzionali, rimpinguando le casse delle organizzazioni criminali. Che, con lo spaccio, non solo fanno affari ma solidificano il potere sul territorio. «Camminando per le strade delle città, ormai è frequente vedere ragazzi e ragazze intenti a fumare il crack – fanno notare i volontari di Sos Ballarò – e la questione è tornata più urgente dopo diversi casi di giovani morti per overdose».
Da qui, con un lavoro che ha visto insieme diverse realtà (Sos Ballarò, Ourvoice, Rete Riduzione del Danno, Casa di Giulio), è nato il disegno di legge che si propone di organizzare un sistema integrato e diffuso per prevenire, curare e arginare l’impatto che le dipendenze patologiche hanno sull’intero tessuto sociale e produttivo dell’Isola. Bisogna partire da qualche dato che rende la misura della questione: il personale medico dei Ser.D (i servizi per le dipendenze) di Palermo ha soltanto cinque unità a fronte di un’utenza di circa 2000 persone. Per legge, dovrebbero essere operativi almeno cento medici. A Catania, invece, si è rimasti con solo un quarto di operatori rispetto a vent’anni fa. Nel resto dell’Isola non va meglio. E questo, in un momento, in cui la recrudescenza delle dipendenze ha subito un’accelerazione. Tra i motivi c’è il fatto che la quantità rimasta invenduta durante la pandemia da Covid-19 ha fatto abbassare i prezzi rendendo alcuni tipi di droghe (tra cui il crack, che procura danni e assuefazione molto velocemente) accessibili per tutte le tasche. E la carenza di Ser.D – che costituiscono la media soglia dei servizi per le dipendenze – non è l’unica. Su tutta l’sola sono praticamente assenti gli interventi di bassa soglia: unità mobili, drop-in (strutture di prevenzione ma anche per consumatori e dipendenti che consento di mantenere l’anonimato) e centri di prossimità. «A Palermo per un anno abbiamo portato avanti un’unità mobile – racconta al nostro giornale un ex dipendente oggi operatore – e stiamo per riattivarlo ma si tratta di un solo mezzo e finanziato soltanto per un anno».
E non va meglio nell’alta soglia: in Sicilia ci sono soltanto 25 strutture terapeutiche residenziali (e solo un paio di queste ospitano anche donne) e due semi-residenziali diurne, tutte di natura privata-sociale. In tutta l’Isola nemmeno un centro pubblico. E mancano completamente quelle dedicate ai minori, a persone con doppia diagnosi e per chi è nel circuito penale (in carcere, ai domiciliari o in altre strutture). Altra totale assenza riguarda i centri di crisi, luoghi dove opera personale specializzato in grado di affrontare i momenti di crisi più acuta che, peraltro, spesso sono il momento più promettente per un’eventuale svolta verso la scelta della disintossicazione. Assenze che si ripercuoto su famiglie e comunità a cui viene data la delega per un compito che non è sostenibile. Per questo, la proposta mira alla creazione dei servizi che mancano, all’implementazione di quelli carenti e alla costruzione di una rete tra attori istituzionali, del privato sociale e della società civile. E questa terza parte è già iniziata, in realtà, senza attendere i tempi della burocrazia con incontri e dibattiti a Palermo e a Catania.
«La nostra – affermano – è una proposta legislativa innovativa nel metodo e nel contenuto. La sua natura di legge quadro, permette di affrontare la questione da una prospettiva sistematica: l’unica maniera per fare fronte a un fenomeno tanto complesso». L’innovazione sta innanzitutto nella collaborazione tra dimensione sanitaria, sociale ed educativa. «La diffusione delle dipendenze patologiche, infatti, non è solo un problema che ha effetti su individui isolati, ma – sottolineano – è la conseguenza di contesti sociali, economici e culturali problematici». Per questo, il testo con il disegno di legge che si propone di colmare tutti i vuoti domani verrà presentato non solo a un intergruppo regionale tematico ma anche alla commissione antimafia. Tra gli obiettivi, oltre all’attivazione di tutti i servizi (di bassa, media e alta soglia) al momento inesistenti o carenti, c’è anche quello di promuovere percorsi di inclusione sociale e lavorativa per le persone con dipendenze il cui rischio di essere reclutati come manovalanza nel mercato delle droghe è maggiore. Diritti non solo sanitari ma anche sociali che hanno dei costi importanti. «Ma, a ben vedere – concludono i proponenti – quella che può apparire una spesa ingente, risulta un investimento per il benessere sociale e un netto risparmio per i conti pubblici, perché si prevengono conseguenze più gravi e ancora più costose».
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